martedì 31 marzo 2009

Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono

Giovanni 8,21-30
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire”. Dicevano allora i Giudei: “Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?”. E diceva loro: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”. Gli dissero allora: “Tu chi sei?”. Gesù disse loro: “Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui”. Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite”. A queste sue parole, molti credettero in lui.
"se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati"... sembra non dare scampo Gesù, ma in fondo ha ragione ad usare tanta durezza. La cecità e l'ostinazione a voler proseguire nonostante l'Incontro lo portano a fare riferimento all'ultima "arma" che farà cambiare idea ai tanti che non credono. "Quando avrete innalzato... allora saprete che Io Sono" ed occorre davvero aspettare la croce per comprendere e capire che abbiamo crocifisso il nostro Salvatore. Il mio pensiero corre al ladrone, perchè alla durezza del brano di oggi, la sua esperienza, al contrario, ci mette dinanzi l'immensa misericordia di Dio che l'accoglie all'istante nella sua casa.. "Dove vado io voi non potete venire" perchè lasciate ancora i vostri cuori ancorati alla materialità e all'egoismo, ma se sarete disposti a convertire la vostra vita e i vostri cuori stessi vi dico "che da oggi sarete con me in Paradiso". Come si fa a resistere a tanto Amore?

domenica 29 marzo 2009

Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto


Giovanni 12,20-33
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire
Avevamo sentito raccontare, da Gesù, in un'altra parabola, di come il chicco di grano muta il suo evolversi a seconda del terreno sul quale viene gettato. Questo chicco doveva sopravvivere, ai rovi, alle pietre, al vento e quindi crescere per germogliare. Oggi invece si parla di morte, come condizione essenziale per poter, poi, portare frutto. Un controsenso quasi, o almeno è quello che ho provato leggendo frettolosamente. Rileggendo, però, ho capito a quale morte si faccia riferimento: in chicco se rimane tale non porta frutto, deve morire, mutare la sua natura e da chicco divenire germoglio, frutto. Odiare la propria vita nel senso di essere disposti a mutarla, a modificare la nostra condotta e seguire Cristo. Ed è difficile staccarsi dall'amore morboso che ci lega ad essa; possederla ci da il diritto di governarla dimenticando che non di possesso si tratta ma di custodia, e siamo chiamati ogni giorno a morire coraggiosamente per vivere nella gloria. Il turbamento è tanto, anche Gesù lo prova, ma proprio questo turbamento che ci spinge sempre più a rifugiarsi nelle braccia del Padre, anche quando diciamo "salvami da quest'ora" siamo vicini al Padre perchè riconosciamo che è un'ora non voluta da noi, non pensata dalla nostra mente, non desiderata ma pienamente accettata per Sua volontà. E' consolante sapere che il turbamento non ci allontanerà, così come la prova, la tribolazione, e il peccato, anzi in virtù di queste esperienze e del saperle individuare e vincerle un giorno saremo accanto a Colui che abbiamo servito senza paura alcuna: "e dove sono io, là sarà anche il mio servitore".

sabato 28 marzo 2009

Le Prigioni

Che grande prigione è la nostra vita! Come sbarre le sue giornate ci legano al meccanico svolgersi di situazioni e di eventi incatenando totalmente la nostra libertà, la capacità di volare. Povera anima soffocata, povera anima intrappolata, povera anima disperata che in lacrime elemosina un d'aria, un momento per riflettere, pensare, amare! Ci sono prigioni ben più terrificanti di quelle che ben conosciamo perchè sono a noi sconosciute pur vivendoci dentro... riuscirò mai a liberarmi? riuscirò mai a pagare questa cauzione e librare sereno nel cielo dei miei pensieri? Se la libertà, voluta, è davvero desiderata prima o poi arriverà, perchè se la speranza non si spegne nemmeno dietro le gelide porte di un carcere è una speranza infiammata d'Amore inenstinguibile, quell'amore che fonderà ogni lega ed ogni legame e ci renderà veramente Liberi.

venerdì 27 marzo 2009

Inno alla Carità

1Corinzi 13,1-13
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!
La nostra conoscenza è imperfetta così come la nostra capacità di profetare ed immaginare; sono destinate a perire all’incontro della Perfezione perché non hanno nessun legame con essa, così come dovrà perire il nostro corpo, che pur essendo stato creato dalla Perfezione, non è perfezione ma “somigliante” e può aspirare alla perfezione.
Se dovrà esserci questo incontro, questa unione, significa che già da ora possediamo quel pezzo da incastonare, essendo noi stessi questo pezzo? Si che lo possediamo, e abbiamo la condizione per esserlo anche se preferiamo vivere nell’imperfezione della materialità e della fisicità, vissuti solo come ostacolo e mai come mezzo. In noi è presente la Perfezione ma non la vediamo perché ne abbiamo una concezione e un immagine che non va oltre i nostri sensi. La Perfezione che è in noi si chiama Carità, una virtù che si compiace della Verità perché nella carità dimora la verità e non avrà mai fine, neanche “quando verrà ciò che è perfetto” perché sarà, proprio questo incontro, il momento della gloria in eterno.
È difficile comprenderla e viverla, non tutti siamo in grado di “vivere la carità” non tutti abbiamo il dono di saper riuscire a sondare il nostro intimo, di spogliarlo e di renderlo a Colui che tutto può, alla Fonte di ogni carità e sapienza. È estremamente difficile essere pazienti, benigni, non invidiosi, vanagloriosi, egoisti, ed indifferenti dinanzi al male ricevuto quando invece tutto ciò che ci sta intorno e il nostro rapportarci con i fratelli suscitano, in noi, reazioni opposte. Ma dal suscitare al provocare ci sta di mezzo il nostro essere, il nostro cuore e il nostro modo di vedere la Verità, di riconoscerla, e di compiacersi nella sua totale pienezza. Ecco perché la carità tutto copre, tutto spera, tutto crede e tutto sopporta, perché è intimamente generata dal “Tutto” ed attende di unirsi indissolubilmente al nostro niente e dare vita alla perfezione d’amore voluta dal Padre e attuata dal Figlio inchiodato alla croce.
Con la carità noi amiamo e quindi crediamo, e con la carità alimentiamo costantemente la speranza di giungere a destinazione: coronare questo Amore in eterno.

Cercavano di arrestare Gesù, ma non era ancora venuta la sua ora

Giovanni 7,1-2.10.25-30
In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne. Andati i suoi fratelli alla festa, vi andò anche lui; non apertamente però, di nascosto. Alcuni di Gerusalemme dicevano: “Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia”. Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: “Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato”. Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora.
Leggendo il passo della Sapienza ho compreso meglio l’odio e il rancore che i Giudei provano per Gesù. Loro vedono Cristo dal solo lato fisico e si preoccupano di identificarlo e di dargli una provenienza non riuscendo a ricavare, dalle sue parole e dai suoi gesti nient’altro che “una condanna” senza riuscire ad andare oltre e scorgere, dietro la morte dell’uomo vecchio, la grande e vera rinascita. Chi di noi non prova invidia verso qualcuno che è migliore di noi, ed invece di provare ammirazione e di provare ad avvicinarsi alla sua condotta ed alla sua strada, la rabbia esplode in noi, perché quest’esempio ci mette nudi dinanzi alle nostre “immondezze” e facciamo di tutto pur di smontare la questa perfezione, di trovare un neo in tanta armonia; ma ciò che rende saggi, puri, e veri non potrà mai essere colpito perché nella grazia d’esser giusti c’è la consapevolezza e la certezza d’esser figli di Dio “il giusto è figlio di Dio” e di essere un nulla se privati dell’unione col Padre “io non sono venuto da me”. La paura e il timore di non riuscire non hanno, quindi, modo di esistere perché sappiamo già da ora che Lui ci assisterà e ci accompagnerà soprattutto nelle angosce e nelle tribolazioni sopportate in nome Suo; non possiamo farci abbattere ne frenare, la corsa deve essere sostenuta con passi certi e saldi, sicuri in quell’Amore che ci da la forza di essere,di volere e di potere “tutto posso in Colui che mi da forza”.

martedì 24 marzo 2009

Sull’istante quell’uomo guarì

Giovanni 5,1-3.5-16

Era un giorno di festa per i Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Vi è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzata, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: “Vuoi guarire?”. Gli rispose il malato: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me”. Gesù gli disse: “Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: “È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio”. Ma egli rispose loro: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina”. Gli chiesero allora: “Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?”. Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

“….perché non ti abbia ad accadere di peggio” perché è differente la sorte di chi vive totalmente lontano da Dio e chi, invece, decide di stare lontano dopo averlo incontrato. “Pur vedendo la luce hanno preferito le tenebre” ed è nelle tenebre che troveranno dimora quando la loro vita terrena sarà giunta alla fine. In questo passo del Vangelo mi piace assaporare la Speranza che viene trattata quasi in modo velato. E la speranza del paralitico trentottenne che, forse ormai privo di ogni speranza, viene sanato all’improvviso da un “guaritore” che, per lui, trasgredisce ogni regola anche quella del sabato. Ed è questa la speranza che ci deve spingere a non abbandonare mai la nostra causa e certezza di poter essere guariti e visitati. Gesù passa costantemente per le strade della nostra vita, siamo noi che accasciati sui dolori e le ansie non riusciamo a scorgerlo. Fermiamoci un po’, alziamo la testa e spalanchiamo gli occhi dinanzi a tanto Amore e Misericordia. Anche quando siamo giunti proprio in basso e sembra che nessuno mai potrà darci una mano per raggiungere “la piscina”, la guarigione, è soprattutto in questi momenti che dobbiamo rivolgere il nostro sguardo a Colui che tutto può perchè più di ogni altro essere è caduto in basso per essere poi innalzato al di sopra di ogni creatura. Consideriamo la sofferenza un privilegio ed anche quando saremo guariti non dimentichiamoci mai di essa ma anzi portiamo costantemente il suo ricordo “porta con te il tuo lettuccio” affinchè dalla consapevolezza d’esser stati salvati troviamo la forza necessaria per non ritornare più sui nostri passi “non peccare più” e gustare in pieno la guarigione ed i suoi frutti.

lunedì 23 marzo 2009

Va’, tuo figlio vive

Giovanni 4,43-54

In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Ma il funzionario del re insistette: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli risponde: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù! ; gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.

Il nostro cuore non resiste più quando sente che Cristo è disposto a Scendere per servire la nostra causa, la nostra sofferenza. Siamo convinti che Lui sia distante da noi e dai nostri problemi ma quando ci da testimonianza vera che ci è sempre a fianco costantemente, non resistiamo più e il nostro amore si fa intenso e si stringe in un legame indissolubile. "Credette lui con tutta la famiglia" spesso è vero che occorre un segno forte perchè siamo impossibilitati nel vedere oltre la punta del nostro naso, non vogliamo sforzarci preferendo tenere chiusi gli occhi della nostra anima. Chiediamo a Gesù di aprire questi nostri occhi e di divenire certezza nella nostra vita.

domenica 22 marzo 2009

Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui

Giovanni 3,14-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

E' come se avvicinandosi sempre più all'esperienza di Cristo tutto ciò che di noi è stato tenuto all'oscuro pian piano viene a galla perchè nel confrontarsi con l'immensa misericordia del Padre non si può più continuare ad essere "uomini vecchi"... "E' ora di svegliarci dal sonno e di buttare via le opere delle tenebre" e quest'ora è stata segnata dalla Croce dal momento in cui il figlio di Dio ha sconfitto la morte ed il peccato e ci ha aperto il varco per giungere alla gloria eterna. Non ci sono scorciatoie ne vie preferenziali "nessuno arriva al Padre se non tramite il Figlio" perchè nell'incarnazione del figlio ci sta la testimonianza vera e viva che non è impossibile seguire la volontà di Dio e vivere secondo la sua grazia; non possiamo continuare a nasconderci dietro la presunta debolezza umana ma occorre rivalutare questa debolezza e convertirla in potenziale forza. Non abbiamo paura di andare verso la luce anche se fino a questo momento siamo vissuti nelle tenebre più cupe, Dio ha misericordia e gioisce anche per una singola pecorella che ritorna dal pastore, che ritorna alla luce. Siamo stati battezzati sotto questa luce e allora perchè non dobbiamo vivere seguendo i suoi riflessi?

sabato 21 marzo 2009

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo

Luca 18,9-14 -
In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

Io credo che il fatto stesso di ritenerci giusti sia sintomo di non esserlo! Perchè non abbiamo la facoltà per deciderlo ne il metro giusto per valutarlo. E' un errore valutare la nostra condotta equiparandola a quella degli altri fratelli perchè a ciascuno di noi è stato dato diversamente e diversamente siamo chiamati a restituire. Il pubblicano parte da una posizione più alta rispetto al fariseo: la consapevolezza di ciò che si è. Ed è estremamente difficile riuscire a spogliarsi di tutto ed accettare la miseria della nostra natura. Non bastano digiuni e penitenze se non pratichiamo l'unica grande opera, quella che va compiuta quotidianamente ed intimamente nel cuore: "O Dio, abbi pietà di me peccatore"...."uno spirito contrito è sacrificio a Dio... allora gradirai i sacrifici prescritti, gli olocausti..." l'esteriorità viene sempre dopo e deve avere come base un'interiorità; fermiamoci ed almeno in quaresima iniziamo a difendere, coltivare e preservare il nostro intimo come arma da sfruttare per unirci a Lui.

venerdì 20 marzo 2009

Quando sono debole, allora sono forte

Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.
(2Cor 12,9-10)

Nella comprensione della nostra debolezza c'è la conoscenza e l'accettazione della perfezione di Dio. Queste due nature apparentemente distanti sono segretamente vicine, legate, perchè così è stato deciso dal Padre stesso e nel loro intimo rapporto c'è un continuo scambio e un costante riciclo: la debolezza convertita in sapienza e misericordia. Si dice che la perfezione non si addice a noi umani ma soltanto a Dio ma non possiamo dimenticare che Lui stesso ha deciso di condividere la sua perfezione, la sua divinità, e di mettere in condizione, chiunque lo voglia, di aderire alla sua Verità, quasi come una fusione "non sono più io che vico ma Cristo che vive in me". Se consideriamo tutto ciò ogni nostra scusante non ha motivo d'esistere perchè nulla potrà mai ostacolare questa unione, solo la nostra volontà molto spesso animata dall'egoismo che ci porta a ricercare in ogni occasione e circostanza ciò che fa comodo. E così all'unione con Dio preferiamo nettamente la sostituzione con Dio ergendo il nostro Io come grande divinità da contemplare e glorificare. La debolezza fa largo all'arroganza che s'impone con la sua forza e la sua sete di sopraffazione quando invece si dovrebbe custodire gelosamente quella debolezza che sarà una solida base sulla quale costruire una nuova vita, un nuovo otre da riempire con la forza di Dio "quando sono debole, allora sono forte".

mercoledì 18 marzo 2009

Chi osserverà e insegnerà i precetti sarà considerato grande nel regno dei cieli

Matteo 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.

“Non sono venuto per abolire ma per dare compimento”, è chiara, in questa frase, la direzione e lo scopo stesso della missione di Gesù. Lui, l’innovatore per eccellenza, viene in mezzo agli uomini per movimentare la loro vita, per scuotere la loro coscienza e per dare una nuova dimensione al modo di rapportarsi con Dio. Non abolisce i precetti esistenti ne aggiunge ad essi altri ma semplicemente è venuto a dare un’impronta umana a tutte quelle leggi praticate meccanicamente e senza il minimo coinvolgimento del cuore: non occorre adempiere le regole alla lettera ma è indispensabile viverle costantemente non più con freddezza ma con la consapevolezza d’essere figli di quel Dio che da padrone diventa Padre, e da Padre è pronto a servire noi suoi figli con Gesù Cristo. Allora mi chiedo perché tanta paura? Perché questo timore ad accogliere Cristo nella nostra vita? Perché tutta questa ostilità verso la sua Parola e verso la sua volontà? Lo dice chiaramente che non irrompe sulle nostre esistenze per abolirle ma per portarle a compimento! Noi non ci domandiamo mai in che modo viviamo o che meta ci siamo preposti nella nostra vita perché l’importante è vivere, magari alla giornata, senza tante preoccupazioni ne illusioni, spegnendo definitivamente quella Speranza che ci dovrebbe proiettare in un vita diversa da quella che conduciamo all’interno dei nostri miseri corpi. Il compimento inteso da Gesù è la vita eterna, perché completare la legge significa spalancarci le porte e indicarci la via per accedervi, e Cristo stesso ci insegna che senza la croce è impossibile varcare la soglia della gloria senza fine. Occorre abbandonarsi “come bimbo svezzato in braccio a sua madre” nella mani del Padre che tramite il Figlio opera in noi il compimento che ha in serbo per noi. Anche quando la vita frenetica ci soffoca e sembra far perire ogni speranza, non deve mai spegnersi quella fiamma che arde, ed anzi, occorre alimentarla costantemente con l’ossigeno puro della preghiera affinchè l’incendio possa distruggere le sterpaglie e dare spazio ai germogli tanto attesi.

martedì 17 marzo 2009

Se non perdonerete di cuore al vostro fratello, il Padre non vi perdonerà

Matteo 18,21-35
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”.

“Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito”, la pazienza e la misericordia sono sempre e solo richieste e mai, o raramente, prendono la direzione opposta perché siamo bravi a pretendere e non a dare. La parabola di oggi mi ricorda una bella regola “con la misura con la quale misurate sarete misurati” però mi piace trasformare l’ordine di queste parole e quindi il senso stesso della frase “con la misura con la quale siete misurati voi misurate” e parlo di rapporto tra fratelli e quindi del nostro limite di rispondere ad un sentimento con il medesimo sentimento, mai uno slancio più alto mai un’iniziativa diversa, mai un’opera di mortificazione che permettesse di convertire, magari, il male in bene. Avere misericordia di un fratello è difficile e come il servo, perdonato dal padrone, ci dimentichiamo di ciò che siamo noi e puntiamo il dito verso chi sbaglia e magari commette i nostri stessi sbagli. Riconoscerci tutti nella stessa situazione, tutti servi, tutti figli, tutti peccatori, deve essere la base per iniziare un lavoro di ridimensionamento per costruire un corretto modo di rapportarci e per riconoscere nel rapporto d’amore che il Padre ha con ciascuno di noi, lo stesso rapporto che ognuno di noi deve avere con il proprio fratello. “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” la misericordia di Dio, se si riesce a gustarla la si deve, per forza, rimettere in circolo, solo così si diventa parte viva del progetto di salvezza, tralci fecondi della stessa vite ed avere la certezza che i nostri talenti non saranno sprecati ma restituiti con il giusto frutto.

venerdì 13 marzo 2009

Avranno rispetto di mio figlio!

Matteo 21,33-43.45

In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?”. Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’’? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”. Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

Questa parabola assomiglia tanto a quella dei “talenti” perché narra di un padrone che lascia in custodia un bene per vederlo poi fruttificare e quindi raccoglierne i frutti. Le similitudini sono chiare anche se in una si parla di denari e in questa di una vigna è facile identificare, in questi beni materiali, la nostra stessa vita. La vita è un dono e non ci appartiene, ci è stata consegnata non per farne ciò che vogliamo ma per riconsegnarla, al momento opportuno, con il dovuto frutto, che il padrone reclamerà al momento della raccolta. E questo ci sfugge o almeno preferiamo nascondere questa evidenza e fare della vigna qualsiasi altra cosa tranne che farla fruttare per la gloria del padrone. Eppure è stato Lui ad affidarci questa responsabilità, quindi in cuor suo conosce le nostre possibilità e capacità, si fida di noi e sa bene che non cacceremo i suoi servi quando verranno a ritirare il raccolto… ma noi, essendo uomini, non facilmente riusciamo a staccarci dall’egoismo terreno ed ai suoi servi, ed ai fratelli che domandano aiuto, rispondiamo in modo errato “bastonandoli, uccidendoli, lapidandoli”. Il problema sta alla base e sarà difficile da risolvere perché la certezza d’essere gli unici detentori della verità e quindi di ogni potere su noi stessi non è facile da demolire, perché bisognerebbe dar spazio alla voce del Padrone, alla sua volontà, quindi ammettere che questo padrone vuole il meglio per noi; ci ha mandato persino il proprio figlio e noi che abbiamo fatto? “uccidiamolo e abbiamo noi l’eredità” non abbiamo compreso! Il figlio era venuto in mezzo a noi per condividere l’eredità stessa, per far conoscere la via da seguire e gustarla in eterno; non era venuto per impossessarsene perché lui stesso proviene da quella eredità! “L’amore non è amato” e se non crediamo all’amore del Padrone non riusciremo mai a rispondere con amore all’invito che ci fa quotidianamente. Se siamo nati significa che siamo stati reputati degni di tale dono e se ancora viviamo i nostri frutti sono visibili e graditi a Lui.

mercoledì 11 marzo 2009

Lo condanneranno a morte

Matteo 20,17-28

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i Dodici e lungo la via disse loro: “Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà”. Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: “Che cosa vuoi?”. Gli rispose: “Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. Rispose Gesù: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?”. Gli dicono: “Lo possiamo”. Ed egli soggiunse: “Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio”. Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.

Risaltano in questo brano due verbi che, da noi, vengono affiancati per formare un modo di dire "volere è potere" che mette al centro di tutto la nostra volontà, la nostra forza, il nostro potere al di sopra di ogni altro potere. Non tutto , però, ci è possibile per il solo fatto che siamo uomini e che mai possiamo credere di equipararci a Dio o sostituirlo. Gesù chiede alla madre di Giacomo e di Giovanni cosa voglia perchè sa che nulla è impossibile a Dio e sa che qualsiasi cosa verrà chiesta in suo nome il Padre la concederà, ma ciò che domanda la madre è difficile saperlo perchè è come se volesse già conoscere il destino eterno dei suoi figli senza badare a ciò che sono e saranno i suoi figli nella vita terrena. "Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio" a Cristo è stato dato il compito di tracciare la via e di illuminare quanti hanno in cuore il desiderio di percorrerla ma non ha il potere di decidere a priori perchè il Padre ha lasciato a noi stessi il libero arbitrio per scegliere quello che sarà di noi. "Il mio calice lo berrete" perchè il calice e la volontà del Padre è il passo iniziale da compiere per proseguire verso la gloria, se non si accetta è impossibile unirsi a Lui, se si preferisce far passare questo calice diventa un'illusione occupare quel posto tanto ambito e sperato dalla moglie di Zebedeo. Seguiamo Cristo se vogliamo trovarci, poi, al suo cospetto; incamminiamoci per la via da lui tracciata divenendo servi e schiavi, umili e semplici, pronti a dare la vita per i fratelli.

martedì 10 marzo 2009

Dicono e non fanno

Matteo 23,1-12
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ‘‘rabbì’’ dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare ‘‘rabbì’’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ‘‘padre’’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ‘‘maestri’’, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”.


“Il più grande di voi sia vostro servo”- E’ davvero difficile servire e soprattutto farlo per compiacere i fratelli e mai noi stessi. Dietro ogni nostro gesto si cela quasi sempre il bisogno di sentirsi realizzati o per essere ammirati “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini” , quello che facciamo, invece, dobbiamo farlo per essere ammirati soltanto dal Padre, nemmeno da noi stessi ed è davvero dura riuscire a trasformare l’esperienza del servire in un' abitudine, in uno stile di vita. Spesso alla nostra opera viene accompagnato all’istante un contraccambio, demolendo così lo spirito che ha mosso le nostre mani, facendo perire l’essenza del nostro tendere, del nostro dare aiuto. Nel servire si deve ricercare solo il benessere del prossimo e in noi dovrebbe rimanere solo la consapevolezza dell’aver fatto qualcosa di semplice e di normale perché la nostra missione è quella di abbassarci per poi essere innalzati al momento opportuno. Personalmente, nel fare il bene, mi frena solo un elemento: la paura e il timore che il mio stesso bene non venga capito o addirittura mal interpretato; continuo comunque ad esercitarlo anche se in tanti si chiedono il perché o cercano di afferrare il tornaconto che potrebbe celarsi. Davvero è così difficile servire? “La carità non cerca il suo interesse” ed io non voglio posti d’onore nei conviti, ne primi seggi nelle sinagoghe e posso fare a meno dei saluti nelle piazze, mi basterebbe sapere che quel che faccio è cosa giusta e gradita.

lunedì 9 marzo 2009

Perdonate e vi sarà perdonato

Luca 6,36-38
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.
“Abbiamo peccato”, in Daniele c’è la consapevolezza dell’aver peccato e quindi il riconoscimento della colpa e la richiesta del perdono. Crede fermamente nella misericordia di Dio che opera su chiunque si rivolga a Lui con pentimento e dolore dei peccati. L’abbiamo sentito qualche giorno fa “il Signore fa spuntare il sole sui giusti e sugli ingiusti ma ama chi ha timore di Lui”, ed aver timore significa in primis riconoscere la sua immensa misericordia e il suo grande amore. Questa consapevolezza, però, non sia un comodo cuscino di piume su cui assopirsi ma un costante mettersi in gioco e alla prova perché siamo chiamati ad operare con la stessa misericordia, nel servire, nel perdonare, nel non giudicare, nel non condannare; e sono pratiche quasi inesistenti nella nostra quotidianità anzi spesso ci culliamo del fatto che “saper perdonare è divino”; una consolazione , che come tante altre, ha lo scopo di autogiustificare il nostro operato e ritornare nel sonno dell’anima che prima o poi si muterà in eterno letargo e poi in morte. La nostra anima ha bisogno d’essere allenata, ha bisogno di esercizio costante, la nostra anima non può e non deve atrofizzarsi, al contrario deve esser pronta per il grande momento, quando dovrà ricevere quella “misura traboccante”, e se riusciamo a svuotarla da tutte le sozzure e dalle false ricchezze significa che siamo stati in grado di morire a noi stessi, di mettere da parte rancori ed orgogli e quindi di esercitare quella misericordia che verrà contraccambiata con la gloria eterna.

sabato 7 marzo 2009

Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori

Matteo 5,43-48
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Ancora una volta Gesù sottolinea l'essenzialità della sua missione: è venuto a completare a perfezionare una legge magari interpretata male o col tempo modellata a propria immagine... e Gesù piomba sulle nostre vite con questo scopo, vuole perfezionare la nostra condotta, vuole completare la nostra visione della vita, vuole che anche noi diventiamo perfetti nell'amore. Sappiamo bene, però, che è già difficile riuscire ad amare gli amici senza dover passare per tornacontisti perchè stiamo perdendo di vista il significato di amare incondizionatamente. Per questo Gesù ci invita ad esercitarci nell'amare i nemici perchè i nemici non penseranno mai che nel nostro amore ci sia chissà quale oscuro scopo, al contrario rimarranno disarmati dinanzi a questo comportamento. Si corre il rischio di esser visti come deboli o come perdenti ma l'amore che intende Cristo è un amore segreto, è preghiera che va al di là dei gesti ed alla fine è confortante sentirsi vittoriosi e promotori di una giustizia poco comprensibile dal mondo. Il Signore fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni ed allora noi chi siamo per decidere di castigare un fratello invece di comprenderlo e di ricercare, in lui, il motivo del suo comportamento? Io vivo, forse in modo errato, con il concetto che chiunque mi si presenti accanto è migliore di me, sia esso un nemico o un amico; mi pongo con lui partendo da un gradino più basso per poi, magari rimanere insieme su quel podio che ci incoronerà vincitori nell'amarci a vicenda e nel rispettarci.

venerdì 6 marzo 2009

Va’ a riconciliarti con il tuo fratello

Matteo 5,20-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

Oggi ci viene illustrata la via da percorrere per conquistare la vera vita. La via del Signore è la giustizia, una strada lontana dal peccato e dall’agire in modo iniquo, aperta a tutti coloro che desiderano praticarla. È bello leggere nelle parole del profeta Ezechiele l’importanza e l’essenzialità del praticarla sempre e costantemente “se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere iniquità…muore” , non c’è scampo, infatti, per chi ha conosciuto la giustizia e decide di metterla da parte e di non renderla presente nella propria vita e a differenza dell’ingiusto, che ritorna per la retta via guadagnandosi la vita stessa, vedrà cancellate tutte le cose giuste da lui fatte. Di giustizia parla anche Matteo e ci invita a farne esperienza , di una giustizia diversa da quella intesa dagli scribi e farisei quindi diversa dalla giustizia degli uomini. “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario”, non è umano saper perdonare gli avversari, è difficile, come non è umano riuscire a mettere da parte ira ed orgoglio per tentare di perdonare e di riconciliarsi con un fratello offeso o giudicato male. Praticare la giustizia divina è un atto estremamente impegnativo perché è distante dalla nostra concezione di giustizia spesso egoistica e che pone al centro, come unici beneficiari, noi stessi e i nostri interessi. Amare il proprio fratello, invece, è la prima cosa da fare, il primo comandamento, quello nuovo lasciato da Cristo stesso durante l’ultima cena “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”, molto più importante dell’offrire un sacrificio perché nell’odiare il fratello o nell’essere adirato con lui si cela un cuore per niente contrito e quindi non gradito a Dio “uno spirito contrito è sacrificio gradito a Dio, un cuore affranto ed umiliato tu o Dio non disprezzi”. Umiliamoci dinanzi al perdono, non ripaghiamo mai il male con lo stesso male ma il nostro bene incondizionato sia l’arma che faccia desistere gli iniqui e che l trascini per quella via che li condurrà alla vita.

lunedì 2 marzo 2009

Ogni volta che avete fatto qualcosa a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Matteo 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà anche a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.

Quando mai ti abbiamo veduto? Siamo convinti che vedere Cristo sia un'esperienza 5rivervata solo ai pochi fortunati che in passato, e forse anche tutt'ora, riescono a cogliere i suoi segni: i veggenti. Cristo è vivo e sempre visibile ma solo gl occhi che riescono ad andare oltre possono focalizzare la sua immagine riflessa sul nostro prossimo. Gesù è sempre in mezzo a noi, nelle nostre giornate perchè nel viso di un povero, di un ammalato, di un nostro amico in difficoltà c'è l'immagine di Cristo che ci invita sempre a servirlo nei fratelli.

martedì 24 febbraio 2009

Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato. Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti

Marco 9,30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.

"Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato" e Lui incarna alla perfezione l'immagine del "grande" che si fa piccolo, e serve fino alla fine la volontà del Padre e quindi tutti noi aprendoci le porte per la salvezza eterna. Gli uomini lo uccideranno ma lui risorgerà, davvero è indispensabile morire alla legge degli uomini per risorgere? Credo davvero che sia l'unica strada per poter accedere al regno, è impossibile servire due padroni, occorre discernere attentamente i pro e i contro affinchè il nostro sacrificio e la nostra scelta non siano vani. Morire in Cristo significa accettare la propria miseria, abbandonare l'orgoglio e la presunzione che ci portano a considerarci grandi, e divenire, poi, servi, bambini. Solo riuscendo a purificare il nostro cuore si riesce ad identificare, e quindi percorrere, la strada che ci condurrà al "terzo giorno", quel giorno in cui la nostra scelta terrena si trasformerà in gloria eterna.

domenica 22 febbraio 2009

Il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra.

Marco 2,1-12
Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».


Gli scribi si trovano davvero spiazzati dinanzi alla figura di Gesù, quello che per loro era un semplice profeta, un guaritore, ora si mostra per quello che veramente è "chi può perdonare i peccati se non Dio solo?". Gesù, il figlio di Dio è venuto per guarire non solo i nostri corpi martoriati dalla sofferenza ma porterà sollievo alla nostra anima guarendola dalla dannazione eterna. Davanti al paralitico che necessariamente implorava la guarigione fisica, Gesù dapprima si prende cura della sua anima ponendo l’attenzione sulla grande missione che è chiamato a compiere: salvarci e ricondurci al Padre. E dinanzi al Padre non giungeremo con i nostri corpi mortali, là saremo anche noi trasfigurati e la nostra anima finalmente sarà libera dalla prigione quale è stato il corpo. Chiediamo al Signore di risanare le nostre ferite più oscure, quelle che pian piano lacerano la nostra anima e inesorabilmente la consumano. O Gesù prenditi cura della nostra salute fisica ma aiutaci a non dimenticarci di quell’anima che un giorno ritornerà a Te, fa che sia degna di contemplare il tuo volto.

sabato 21 febbraio 2009

Si trasfigurò davanti a loro

Marco 9,2-13
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!”. Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!”. E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti. E lo interrogarono: “Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?”. Egli rispose loro: “Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui”.
Sul monte tabor Pietro si rende conto di chi realmente è Gesù anche se rimane turbato e confuso ma comprende che un giorno potrà divenire una cosa sola con Cristo. Ecco perchè propone di sistemare solo tre tende, una per Mosè una per Elia e una per Gesù… e loro tre, Pietro, Giacomo e Giovanni, messi insieme in un unico corpo glorioso. Il regno dei cieli è davvero così ma è impossibile viverlo qui in terra, forse possiamo assaggiarne la prelibatezza ma in breve tempo la nostra natura umana ci chiama a vivere per quello che siamo: uomini tra gli uomini, figli di Dio in mezzo,spesso, alla malvagità assoluta. Non possiamo rimanere inerti in cima monte ma dobbiamo lottare giornalmente per guadagnare quel posto in prima fila da dove godere, poi, la visione eterna del suo volto! Gesù ordina di non dire a nessuno ciò che i tre discepoli hanno visto, non prima della risurrezione dalla morte, non prima cioè della grande manifestazione, il gesto grandioso che non lascerà nessun dubbio sulla vera natura di Cristo! Ciascuno di noi è chiamato a conoscerlo personalmente, senza basare la propria fede su quanto raccontato ma bensì su quanto di vero siamo riusciti a comprendere grazie alla sua immensa bontà! Mi domando se Gesù seleziona chi deve assistere alla sua trasfigurazione e quindi sceglie i fortunati, oppure riserva ad ognuno di noi una trasfigurazione? Credo che la seconda opzione sia la più probabile solo per il fatto che ognuno di noi ha un posto riservato nel regno dei cieli, se si crede in questo il cuore è pronto ad ammirare la trasfigurazione, ad assistere a questo evento che inevitabilmente cambierà il corso della vita e il senso stesso di essa... Scendiamo dal tabor anche se faticoso.. La speranza di ritrovare lui in cima ci spinga a non desistere mai, ma anzi a lottare per riuscire a compiere questa scalata e bearci in eterno nel suo splendore.

giovedì 19 febbraio 2009

Tu sei il Cristo. Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire

Marco 8,27-33
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la gente che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.



Gesù vuole a tutti i costi che il nostro sia un pensiero “secondo Dio” e non secondo gli uomini, perché solo pensando alla maniera di Dio è possibile maturare un’idea vera di Cristo e riuscire quindi a conoscerlo per quello che lui realmente è. Non si può conoscere Cristo per sentito dire e non si può avere una fede che si basa solo su precetti tramandati o su discorsi captati per aria. Conoscere Cristo significa viverlo intensamente e interamente nel cuore, conoscerlo è comprendere il suo mistero e non scandalizzarsi dinanzi a ciò che ha dovuto subire per la nostra salvezza. Certo le sofferenze fisiche di Gesù sono state atroci e considerarle dal punto di vista fisico è doveroso, ma non possiamo fermarci ad esse, dobbiamo necessariamente proseguire verso la risurrezione e verso il regno che ci è stato aperto con la grande chiave qual è stata la sua sofferenza e l’obbedienza. Seguendo questo percorso diventa meno complicato riconoscerlo e quando, giornalmente, lui ci domanda “chi dite che io sia” la nostra risposta può davvero essere sincera, non condizionata da pareri esterni ma dall’esperienza che abbiamo fatto intimamente contemplando la sua croce nella croce che ognuno ha sulle proprie spalle. Non scandalizziamoci, quindi, davanti alla sofferenza, non permettiamo a satana di compromettere questa sublime esperienza e di vedere il dolore solo come una condanna, una punizione: condividere il dolore di Cristo per condividere poi la sua gloria in eterno. “Lungi da me satana” perché vuoi farmi pensare come gli uomini.

domenica 15 febbraio 2009

La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato

Marco 1,40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Gesù odia la pubblicità! Non vuole che il lebbroso proferisca parola sulla guarigione operata in lui perché non deve essere il prodigio a far diffondere la sua fama ma tutto ciò che ne deriva dal prodigio stesso. Gesù comunica su un canale diverso da quello utilizzato da noi umani. La sua frequenza è trasmessa e captata solamente dal cuore, l’unico capace di andare oltre la fisicità delle cose e dei gesti. Gesù, infatti, guarda il cuore del lebbroso, ammira la sua fede, e ciò che lo porta a prostrarsi ai suoi piedi lo salva e lo guarisce. Che arma la nostra fede! E se pensassimo d’averla solo per la grande misericordia di Dio davvero non ci verrebbe mai in mente di gettarla o di trascurarla. Siamo convinti che tutto ci spetta di diritto e ringraziare diventa una misera prassi del galateo, figuriamoci se siamo in grado di ringraziare il Padre con la nostra stessa vita, per tutto quello che ci ha donato!! Eppure lui non ci abbandona e accoglie ogni nostro bisogno e malessere, facendosi carico delle nostre angosce e dei nostri mali perché non sa resistere ad un cuore contrito e pentito. Libera o Signore il mio cuore, mondalo cosi che io possa aprirlo totalmente all’ascolto della tua volontà.

mercoledì 11 febbraio 2009

Ciò che esce dall’uomo, questo contamina l’uomo


Marco 7,14-23
In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”. Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. E disse loro: “Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?”. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornificazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo”.

Questo passo oggi ci offre uno spunto davvero importante di riflessione e di introspezione che deve portarci necessariamente a compiere una seria analisi e capire cosa ci sta dentro al nostro cuore. Ho sempre ho sostenuto che un uomo non è dato o fatto dall’insieme delle cose che lo circondano ma è un entità a se che deve ben distinguersi da tutto il resto; e Gesù lo spiega “non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo”, spiega dove sta la contaminazione che può portarci a diventare cattivi perché in fondo lo siamo nel cuore. È vero che una situazione esterna potrebbe influenzare il nostro comportamento ma è altrettanto vero che se un cuore è realmente puro e convertito a Cristo nessun agente estraneo potrà mai colpirlo e ferirlo. Un concetto davvero importante che ci conforta nei moneti di crisi; quando viviamo in mezzo al caos e alla malvagità magari ci convinciamo che prima o poi anche noi potremmo finire per diventare “praticanti” del male, ma il condizionale deve riportare serenità nel nostra stato d’animo e confidare sempre nella forza, che ci viene data dalla Parola, di saper discernere il giusto da tutto ciò che è sbagliato e continuare a camminare, anche se controcorrente, in mezzo ad un mondo allo sfacelo. Non possiamo adeguarci, non dobbiamo, anzi siamo chiamati ad essere “lucerne accese” e portare testimonianza con le nostre opere, senza cadere mai nella paura d’essere contaminati ma certi di riuscire a sconfiggere questo virus che man mano sta divorando i cuori di molti. Non dobbiamo avere paura di vivere tra il male, siamo come la spiga che cresce tra la zizzania e si fortifica… che senso avrebbe vivere ed amare solo chi ci vuole bene? La vera battaglia sta proprio in questo, salvaguardare la nostra purezza e il nostro essere Figli di Dio, senza mostrare mai timore nei confronti di chi ci vorrebbe diversi, omologati: se difendiamo la nostra natura ammettiamo di amarla più di ogni altra cosa e quale miglior testimonianza c’è dell’amore che ci lega indissolubilmente?

martedì 10 febbraio 2009

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

Marco 7,1-13
Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame - quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E aggiungeva: «Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».


“… mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me”; cosa fa più scandalo le osservazioni dei farisei o questa profezia di Isaia che sembra perfettamente ambientata ai giorni nostri? Dopo duemila anni dovremmo avere chiaro in mente il vero progetto ed il vero senso della venuta di Cristo ma ancora oggi preferiamo eludere il senso e badare all’esteriorità con cuore freddo e sempre più distaccato. Siamo bravi, infatti, a condannare e sentenziare ergendoci a sommi giudici senza fissare minimamente l’occhio a quello che siamo noi in primis ed a come testimoniamo il Cristo che professiamo. Forse è vero che in fondo somigliamo molto a questi farisei perché ci sentiamo in pace con Dio se rispettiamo alla lettera i precetti “degli uomini” senza andare mai ad ispezionare il nostro cuore per vedere se veramente vi regna la pace nel suo interno, la Pace vera, quella che può venire soltanto da una perfetta comunione con Padre. Occorre abbandonare tutto ciò che di umano e fisico ci lega a Lui, anche se Lui stesso si è fatto uomo non significa che da uomo deve esser lodato, Dio nostro Padre non sa che farsene dei nostri tesori materiali, e dei nostri assurdi gesti meccanici, ha mandato suo Figlio per far pulizia, per annullare tutte le zavorre che ci tengono lontani e distanti; ha semplificato tutto perché mira semplicemente al cuore e a quella forza capace di amarlo più di ogni precetto e più di mille fredde preghiere. La nostra anima non ha precetti, ne mezze misure, ne maschere sotto le quali celarsi…O Signore infiamma il nostro cuore, non si spenga mai la fiamma…

sabato 7 febbraio 2009

Erano come pecore senza pastore

Marco 6,30-34
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’”. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Come sempre, anche stamane, arriva puntuale la risposta viva della Parola. Calza a pennello sul mio stato d'animo che non è per niente sereno..anzi mille pensieri vagano come mosche in una stanza destinate a morire spiattellate sulla superficie di un vetro; e così saranno questi miei pensieri, moriranno col freddo della ma impotenza. Di cosa avrei bisogno? Gesù oggi invita i discepoli in disparte, in un luogo solitario, hanno bisogno di riposare e chi non accetterebbe questo invito. Riposare è piacevole ma quello inteso dal Signore è ben diverso dal riposo che siamo abituati ad intendere noi; Lui non si abbandona su di un comodo divano ne invita a fare altrettanto, il riposo di Gesù è un momento di preghiera, un rigenerare l'anima, un ritrovarsi, rincontrare se stessi per scovare nel profondo del nostro cuore, la Sua presenza. Di questo c'è davvero bisogno, e il luogo solitario è il nostro "intimo", la dove siamo veramente soli, indifesi, la dove convergono paure e ansie, speranze e voglia di continuare, anche quando manca la speranza e siamo davvero stanchi! Signore aiutaci a saperci rialzare sempre.

venerdì 6 febbraio 2009

Grazie!

Ci sono stati giorni in cui credevo davvero di essere solo al mondo, giorni in cui non vedevo luce ne alcun colore che potesse tingere di allegria le mie giornate. Ci sono stati giorni senza via d’uscita come strade che d’un tratto perdono ogni sbocco diverso da un precipizio nero e infinito. Soffocato, sofferente e impotente davanti a quello che per me era diventato inevitabile anche se qualcosa in fondo al mio cuore rimaneva accesa, qualcosa che allora non riuscivo a comprendere ma che man mano si è fatta palese e chiara, grande e accecante… e non c’è precipizio senza appiglio, basta sapersi guardare attorno o forse saper scrutare a fondo ciò che abbiamo dentro perché è da li che parte la forza grazie alla quale i nostri occhi si accorgono del sostegno e le nostre mani si protendono per afferrare quella certezza che, come niente altra cosa, è capace di frenare ed arrestare la nostra caduta. La risalita sarà faticosa, senza dubbio, riportare su un corpo debilitato e provato non è facile, ma la consolazione d’esser stati salvati è grande quando, giunti in cima, lo sguardo di un amico sarà pronto a sorriderci e la sua voce chiara nel gridare: “io ti ho amato, io ti ho provato ed ora ti amo ancor più perché sei riuscito a comprendere il mio amore…salvandoti”

martedì 3 febbraio 2009

Fanciulla, io ti dico, àlzati

Marco 5,21-43
In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva”. Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. E all’istante le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi mi ha toccato il mantello?”. I discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?”. Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, continua solo ad aver fede!”. E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: “Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni.! Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
Due figure oggi si accavallano nel brano del vangelo, una donna e un padre che si affidano alla potenza di Gesù per vedere guariti i loro mali. Una cosa li accomuna, la forza della fede che li rende degni d’esser salvati, anche se è differente l’intensità di tale forza che addirittura nell’uomo a momenti sparisce dinanzi alla sfiducia della realtà dei fatti. La figlia è morta e, apparentemente, non c’è niente da fare e lui dimentica che “Nulla è impossibile a Dio”, ma Gesù glielo ricorda invitandolo a fare leva su quella forza che man mano sta scomparendo “Non temere, continua solo ad avere fede”. Quella fede che ha guarito l’emorragia della donna e quella fede che affiderà alle mani di Cristo il destino della bimba ridotta all’estremo.
Quando tutti ridono di noi e ci accusano di essere dei perdenti, illusi di trovare conforto nella speranza d’esser esauditi, quando tutti ci invitano a cambiare condotta per renderci realmente conto che questo mondo non è fatto per la speranza, è in quel momento che dobbiamo difendere come un grande tesoro, quale lo è realmente, la nostra fede, perché solo con la fede si potrà continuare a vivere nonostante tutto, nonostante le angosce, i dolori, gli affanni e le delusioni. Non credo ci sia al mondo consolazione paragonabile alla bontà di Cristo e alla sua misericordia. Tutto è fugace, qualunque cosa a cui facciamo riferimento per avere attimi di felicità prima o poi passa, solo Lui rimane in eterno e la sua consolazione non ha fine. O Signore aiutaci a pregare incessantemente affinchè la nostra fede sia forte e robusta, scudo contro i nemici e corazza con la quale affrontare il duro cammino della gloria.

sabato 31 gennaio 2009

Chi è costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?

Marco 4,35-41
In quel giorno, verso sera, Gesù disse ai suoi discepoli: “Passiamo all’altra riva”. E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che moriamo?”. Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: “Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”.

E' bello sapere che con la Fede ci viene data l'arma per sconfiggere ogni paura, ogni preoccupazione. Credere in Gesù significa abbandonare ogni altro pensiero che non sia quello di glorificarlo. Seguire Cristo è come salire su questa barca che può benissimo essere paragonata alla nostra vita; sono tante le intemperie, il vento e le tempeste ma se abbiamo deciso di portare con noi Gesù, anche se all'apparenza sembra che dorma, Lui è sempre vigile e pronto a difenderela nostra causa purchè sia la sua causa. O Signore aiutaci a sconfiggere la paura e a credere che nessuno al mondo mai ci allontanerà da Te.

lunedì 26 gennaio 2009

Io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato in me

Luca 22,24-30
In quel tempo, sorse una discussione tra i discepoli: chi di loro poteva esser considerato il più grande. Gesù allora disse: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele”.

È come se i discepoli, alla vigilia della morte di Cristo, cercassero di individuare tra loro un degno erede uno capace di "essere il più grande" il migliore. Gesù conosceva bene ciascuno dei suoi apostoli e di ognuno comprendeva a pieno le paure le ansie e le virtù, e se pur in mezzo ai 12 ci fosse il discepolo prediletto al quale poi affiderà la madre e il discepolo al quale affiderà la sua Chiesa, non fa distinzione alcuna ed invece di individuare la grandezza assoluta di uno solo esalta la grandezza di ciascuno che diventa la forza di tutti se condivisa e se messa in comunione, quella forza che può permettere poi ad ognuno di divenire servi, di riversare la propria esperienza con Lui nei fratelli, servendoli e servendo la causa di Cristo. -Non cercate di superare e scavalcare gli altri per essere grandi, ricercate la grandezza che avete dentro di voi, che vi è stata data al momento dell'incontro con Me e che man mano cresce superando presso ostacoli e prove difficili- sembra questo il messaggio che Gesù vuole trasmetterci perché è questa la grandezza che affida ad ognuno di noi come l'unica eccellenza da perseguire: essere grandi dinanzi al Padre essendo stati piccoli nel lasciarsi plasmare e guidare, come abbandonati ad una sana incoscienza ma sempre lucidi nel comprendere l'immenso amore di Colui che ci accompagna. Il traguardo è già pronto e se perseveriamo in ogni circostanza un giorno riusciremo a varcare quella soglia perché se siamo rimasti con Lui nelle prove saremo certi di rimanere con Lui anche nell'eternità della Sua tavola e del Suo Segno per mangiare e bere e contemplare il Suo Volto.

domenica 25 gennaio 2009

Convertitevi e credete al Vangelo

Marco 1,14-20
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Nell’invito che Gesù rivolge a Simone ed Andrea, Giacomo e Giovanni si cela anche la reazione di loro che, “gettavano le reti in mare” “lasciato il oro padre” lo seguirono senza indugio ne esitazione. Il comportamento dei quattro discepoli era racchiuso nella chiamata stessa perché la proposta di Gesù non ha vie di mezzo e tutto, d’ora in poi, dovrà essere affidato a Lui, ogni preoccupazione, ogni lacrima e la nostra stessa vita donata nelle mani di Colui che non passa mai a differenza della “scena di questo mondo”. S. Paolo dice “il tempo si è fatto breve” è giunta l’ora, infatti, di tendere l’orecchio e il cuore alla voce del Signore e di saper comprendere in pieno che ci sta chiamando e che effettivamente quella voce che sentiamo dentro di noi non è un sussurro o uno spiffero d’aria ma è il soffio del Suo Spirito che ci spinge ad ascoltare ed a non esitare mai nell’affidarci totalmente alle Sue mani e alla Sua volontà “gettate in lui ogni vostra preoccupazione perché egli ha cura di voi”.

venerdì 23 gennaio 2009

Quanto è malvagio l'uomo!

Quanto è malvagio l’uomo, l’insinuarsi del maligno lo rende spesso irriconoscibile, sembra quasi che muti ciò per cui è stato creato anche se non potrà mai cambiare il suo essere. In realtà ciascuno dispone della propria vita e ne usufruisce liberamente, seguendo un ordine di autoregolamentazione quale è il “libero arbitrio” concesso a chi è in possesso della conoscenza; quasi sempre si vive senza badare ai perché senza quantificare e fare chiarezza alle tante domande che potrebbero assillare la nostra essenza. Così si creano i presupposti per dichiarare vinta a priori la battaglia eterna tra la nostra vera natura e quello che effettivamente siamo. All’istinto e alla bramosia deve affiancarsi qualcosa che va oltre la materialità del nostro essere perché l’uomo in quanto carne non rappresenta minimamente la creatura inizialmente voluta e creata, l’uomo è qualcosa di molto più sofisticato, l’uomo non può e non deve essere confinato dentro il perimetro del proprio corpo. Andare oltre significa iniziare ad esplorare una dimensione che fa paura perché realmente infinita e sconfinata, un mondo che non ha fine ma solo un inizio, che poi è la porta di accesso, la chiave che ha aperto il varco verso la conoscenza della Verità

mercoledì 21 gennaio 2009

E' lecito in giorno di sabato salvare una vita o toglierla?

Marco 3, 1-6
In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo!”. Poi domandò loro: “È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?”. Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “Stendi la mano!”. La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.


L’atteggiamento dei farisei è simile, direi identico, a quello dello spirito immondo che, nella liturgia di qualche giorno fa, accusava Gesù d’esser venuto per rovinare, per “rovinarci”. Oggi con la guarigione fatta di sabato Lui stesso ci da conferma del fatto che si è incarnato allo scopo di rinnovare e se necessario distruggere l’uomo vecchio per far spazio all’uomo nuovo. Un uomo che ha come prima arma il libero arbitrio perché è un uomo che, facendo esperienza di Cristo, ha a portata di mano e ben chiaro la differenza tra il bene e il male, tra qualcosa che va compiuta e qualche altra che sarebbe meglio non fare. Gesù con la Sua croce ci ha donato questo potere, oltre ad essere stati liberati dal peccato, ci ha messo in condizione di saper riconoscerlo e incarnare così la Sua Parola andando oltre i precetti antichi e gli atteggiamenti di pura esteriorità. “È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?” Alla luce di Cristo cerchiamo di essere essenzialmente sinceri con noi stessi e con Lui, chiediamo il suo sostegno nel saper comprendere cosa sia giusto fare e nel saper attribuire ad ogni nostro gesto la priorità dovuta; basterebbe semplicemente seguire il nostro cuore, se solo ci fosse dentro il nostro cuore la Sua presenza!! O Signore affidiamo a Te il nostro cuore, possa scaturire dal nostro intimo la nascita di quell’uomo nuovo che libero da ogni laccio fisico sia totalmente in comunione con Colui che l’ha voluto tale.

domenica 18 gennaio 2009

Videro dove dimorava e rimasero con lui.

Giovanni 1,35-42
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.


Gesù dimora dove c'è l'amore dove c'è carità senza interesse, dove c'è la forza di saper perdonare e di saper condividere non solo gioie ma anche sofferenze e prove. Gesù dimora dove dimora la sua misericordia e chi sceglie di abitare presso la Sua casa sceglie necessariamente di vivere in Lui, con Lui e per Lui. Leggevo poco fa un commento sul vangelo di oggi, sottolineava, l'autore, l'incontro con Gesù, inteso come il momento in cui si riesce a riconoscerlo e a fare esperienza di Lui e della sua Parola. Non tutti arriviamo a conoscerlo in modo semplice, molti devono impegnarsi e seguire un faticoso cammino spirituale, altri, come i discepoli, lo vedono passare e, folgorati, decidono di incamminarsi dietro... Devo davvero ringraziare Gesù e pregarlo incessantemente affinchè mi dia sempre la forza di testimoniare e di gridare "ho trovato il Messia"...

sabato 17 gennaio 2009

Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati

Marco 2,13-17
Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?». Avendo udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori».


.... Sono venuto per chiamare i peccatori! I malati, ed è davvero difficile, direi impossibile, guarire da questa malattia. Prendere coscienza di ciò significa anzitutto riconoscersi per quello che si è, e valutare la propria condizione per iniziare realmente ad abbassare la cresta, sedare la nostra lingua, facendo a meno di giudizi gratuiti su nostri fratelli. Lui è il medico che si prende cura di chi però si riconosce malato, non è venuto per i sani o per chi si reputa tale, perchè chi si auto convince di ciò non porta nel cuore il vero messaggio di Cristo ma lo vive esternamente come tutti gli scribi e farisei che si sono scandalizzati! Non scandalizziamoci dei peccati commessi dai nostri fratelli piuttosto iniziamo a vedere la scandalosa cecità che ci porta a non vedere le nostre mancanze, i nostri difetti, e la nostra convinzione d'essere perfetti. Non dobbiamo essere noi a dirlo, il nostro compito è essenzialmente quello di metterci a nudo e spogliarci e dare fiducia affidandoci a Colui capace di guarire veramente le nostre ferite e trasformarci in discepoli pronti a testimoniare il grande Amore che ci ha liberati dalla schiavitù e dalle tenebre.

giovedì 15 gennaio 2009

La lebbra scomparve, e l’uomo guarì

Marco 1,40-45
In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi!”. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci!”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: “Guarda di non dir niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro”. Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

È come se Gesù non volesse esser conosciuto solo come Colui che opera guarigioni e prodiga miracoli. Dice al lebbroso di non far parola con nessuno ma soltanto di presentarsi ed offrire secondo la legge di Mosè. Gesù, infatti, non è venuto al mondo per salvare i nostri corpi, compie di questi prodigi ma allo scopo di aiutare e realizzare una più grande guarigione, quella dell’anima. Ma chi si preoccupa della propria anima? Oramai la situazione va sempre più degenerando e rimaniamo tristemente ancorati al “certo” al “materiale” al “fisico” ed imploriamo la salvezza del nostro corpo non riuscendo mai ad andare oltre il corpo stesso. Valutare il nostro fisico come la più importante creazione equivale a sminuire l’opera di Dio perché oltre le nostre membra ci sta qualcosa di molto più importante, ci sta la nostra anima, l’unica capace, un giorno, per grazia e misericordia divina, di unirsi a Colui che l’ha pensata, voluta ed amata. Molto spesso i malesseri fisici annientano e divorano la nostra vita interiore, tutte le nostre attenzioni sono rivolte al dolore e riduciamo la nostra anima ad un sottile strato facilmente attaccabile dal male e dal peccato. Ecco che Gesù, allora, guarisce le nostre ferite, ecco che la sua potenza risana ogni nostra malattia per dare inizio, poi, alla guarigione e rinascita della nostra anima. Non tutti abbiamo la forza e la consapevolezza di saper sopportare il dolore fisico e identificarlo come mezzo per glorificare Dio, quando si fa troppo intenso e prolungato si stenta a rimanere calmi e lucidi. Voglio pregare per tutti i malati perché il Signore dia loro conforto e sollievo e guarisca le loro ferite, specialmente quelle dell’anima. Dona Signore, a chi gode di salute, la lucidità di saper rispettare il proprio corpo e di curarlo al meglio senza trascurare mai tutto ciò che lo governa e lo tiene in vita: l’anima, il tuo Alito di vita.

martedì 13 gennaio 2009

Gesù insegnava come uno che ha autorità

Marco 1,21-28
In quel tempo, nella città di Cafarnao Gesù, entrato proprio di sabato nella sinagoga, si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio”. E Gesù lo sgridò: “Taci! Esci da quell’uomo”. E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!”. La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea.


Un nemico lo si riconosce subito, qualcuno che irrompe per annientare i nostri progetti è facile da identificare se si possiede un minimo di intuito. Lo spirito immondo riconosce all’istante Gesù e in Lui l’unica arma per sconfiggere il peccato. Gesù è venuto per rovinare i piani dei malvagi e per annientare tutti quei progetti che hanno come fine e scopo qualcosa di diverso dallo scopo che dovrebbe avere ogni nostra impresa: glorificare il Signore nostro Dio. Ecco che abbatte ogni sicurezza, se necessario fa crollare il nostro mondo per edificare un nuovo mondo, un uomo nuovo che abbia la vittoria sul peccato e sulle tenebre da esso generate “Dio rende vani i disegni dei popoli ma il suo disegno sussiste in eterno”. O Signore tu vuoi il meglio per noi, rovina pure tutto ciò che di sicuro c’è attorno a noi perché la nostra sicurezza non è la Tua, e la nostra volontà non è la Tua volontà, aiutaci ad accettare ogni tua correzione e a saper trovare in essa tutto l’immenso amore che ci ha voluti in vita e tuoi figli

lunedì 12 gennaio 2009

Convertitevi e credete al Vangelo

Marco 1,14-20
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”. Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.

Convertirsi e credere al vangelo equivale certamente a seguire Cristo intraprendendo la missione e la vera vocazione prestabilita per ciascuno di noi: essere suoi testimoni e discepoli. Questo passo racconta la "chiamata" di alcuni dei discepoli che, abbandonando lavoro e famiglia, non indugiano a seguire Colui che li ha scelti e voluti, ma fa anche riflettere e ci pone la condizione ideale per osservare la nostra situazione e lo stato della nostra chiamata. Siamo stati in grado di rispondere? Oppure come sordi abbiamo preferito continuare a vivere la nostra esistenza come se niente fosse successo, come se quella voce non fosse stata diretta a ciascuno di noi... Gesù ci chiama costantemente, non chiama solo chi ha scelto una vita consacrata e il sacerdozio, chiama tutto noi a seguirlo nel convertirci radicalmente alla sua Parola, "il regno di Dio è vicino" e la chiave di accesso è la Parola di Dio, senza di Essa è impossibile accedere perchè senza di Essa non si può entrare, occorre viverla e sperimentare già da subito quel regno che un giorno abiteremo. Aiutaci o Gesù a saper discernere al meglio la tua chiamata, per valutare l'intensità della tua voce e scoprire in queste sfumature ciò che realmente vuoi da ciascuno di noi, assordaci se necessario e scuoti il nostro cuore affinché si compia la Tua volontà.

domenica 11 gennaio 2009

Battesimo di Gesù

Battesimo di Cristo - Guido Reni

Marco 1,7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Con la potenza dello Spirito Santo Dio Padre fa conoscere al mondo il suo Figlio prediletto , ci mette a conoscenza, svelando la vera natura di Cristo, ed in condizione di essere anche noi suo figli seguendo l’esempio di Colui che ha mandato in mezzo a noi. Lo Spirito Santo come una colomba scende su di Lui per rimanerci e dimorare: siamo anche noi tempio dello Spirito Santo e dobbiamo custodirlo come un tesoro facendo del nostro corpo uno scrigno degno di contenerlo. Rispettare il nostro corpo è una prerogativa alla quale non possiamo volgere costantemente la nostra attenzione. Vorrei pregare per i tanti che mortificano il loro corpo o si rendono colpevoli di mortificare quello altrui. Signore donaci il tuo Spirito squarcia i cieli cupi della nostra vita e donaci la capacità di riconoscerti ed amarti.

venerdì 2 gennaio 2009

Dopo di me verrà uno che è prima di me.

Giovanni 1,19-28
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Chi sei tu?”. Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. Allora gli chiesero: “Che cosa dunque? Sei Elia?”. Rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il profeta?”. Rispose: “No”. Gli dissero dunque; “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. Rispose: “Io sono ‘‘voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore’’, come disse il profeta Isaia”. Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. Giovanni rispose loro: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Io non sono il Cristo ma sono uno chiamato a preparare la strada al Cristo, ed ancora oggi ciascuno di noi può, anzi deve, in quanto cristiano, incarnare questa situazione e farla divenire reale. Siamo in un periodo di buoni propositi e di mille auguri ma credo che il migliore, il più sincero e vero sia questo: siate testimoni di Cristo preparate Lui la strada nel rapportarvi con il prossimo affinchè chiunque incroci la nostra vita possa dire d'aver incrociato un Dono del Padre.