giovedì 27 novembre 2008

Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina

Luca 21,20-28
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia. Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

"Alzate e levate il capo perchè la vostra liberazione è vicina" Quando Gesù sconvolge i nostri piani, quando qualche evento sembra mozzare i progetti che avevamo in mente, quando l'angoscia e l'ansia prendono in sopravvento su di noi, è l'ora di affidarsi totalmente alla speranza e di credere realmente che la liberazione è vicina. Dio ci libera da tutto ciò che danneggia la nostra persona, lasciamo lavorare e facciamo in modo di accogliere ogni stravolgimento come l'annuncio di qualcosa di veramente grande. Affidarsi a Lui è l'unica ancora di salvezza per non precipitare totalmente ed essere sicuri di sopravvivere ad ogni calamità, perchè le prove saranno dure e perseverare con la fiducia sarà l'unica via di salvezza. Fiducia il Lui che opera per salvarci, fiducia nel Padre che orienta i nostri passi verso luoghi sicuri "coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città", ci mette in condizione di non voltarci più e non dare importanza a ciò che eravamo perchè non rimanga più niente e tutto sia rinnovato sotto la Sua guida. Prepariamoci ad accogliere il Figlio dell'uomo che con potenza e gloria giungerà e si mostrerà ai nostri occhi come luce di salvezza e liberazione eterna.

martedì 25 novembre 2008

Non resterà pietra su pietra che non venga distrutta


Luca 21,5-11
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: “Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”. Gli domandarono: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?”. Rispose: “Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘‘Sono io’’ e: ‘‘Il tempo è prossimo’’; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine”. Poi disse loro: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo”.

Gesù oggi ci chiama e ci invita ad essere vivi nel testimoniarlo, anche a costo di soffrire a causa sua e di perdere la vita stessa. “Non preparate prima la vostra difesa” perché nessun aiuto potrà mai venire dalle nostre forze e le nostre stesse forze non potranno mai bastare per salvare la nostra vita; è Lui che con “lingua e sapienza” ci darà le armi giuste per sconfiggere ogni nemico. È chiaro che per avere il suo aiuto è necessario meritarlo e quindi testimoniarlo anche a costo di patire senza mai tentare di rinnegarlo o di ritornare indietro quando la fatica diventa insostenibile. Nel passo del vangelo si fa riferimento a persecuzioni e condanne, realtà dell’epoca che ancora oggi, in alcuni luoghi, sono esistenti, ma è facile ridimensionare questi termini e collocarli perfettamente a situazioni che anche noi viviamo giornalmente, quando un nostro comportamento viene scambiato per debolezza e quando il nostro perdono viene afferrato come fragilità. Oramai l’arroganza e la violenza hanno la meglio su tutto e testimoniare, cioè vivere l’esperienza di Cristo, diventa un’impresa, correndo il rischio d’esser etichettati come “falliti”. Per grazia di Dio è possibile andare oltre queste etichette e iniziare a desiderare l’unico vero marchio che ci renda degni dinanzi al Padre. Per acquistarlo occorre navigare contro corrente e in direzione opposta rispetto a chi “metterà le mani su di noi”; il loro scopo sarà quello di fermarci, di bloccare la nostra traversata, e di distogliere il nostro sguardo dalla meta che tanto ricerchiamo, ma il loro progetto sarà interrotto, e se la nostra testimonianza sarà irreprensibile e vera, l’aiuto non tarderà ad arrivare “i vostri avversari non potranno resistere, ne controbattere”. Non lasciamoci, dunque, intimorire e non cadiamo mai nella tentazione di volgere lo sguardo indietro, ora che abbiamo messo mano sull’aratro dobbiamo continuare il lavoro, con sguardo dritto anche a costo di perdere la nostra vita per salvarla, per non morire sotto quella distruzione, la morte, che di noi non lascerà traccia “non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”. O Signore donaci la forza, la sapienza, e la lingua, armi necessarie per sopravvivere alle carestie, terremoti e pestilenze dei nostri giorni. La tua luce sia per noi una corazza che renda noi vincitori delle tante guerre che giornalmente compiamo per testimoniare Te.

lunedì 24 novembre 2008

Questa vedova, povera, ha messo più di tutti

Luca 21,1-4
In quel tempo, mentre era nel tempio, Gesù, alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una povera vedova che vi gettava due spiccioli e disse: “In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere”.
Agli occhi del Signore non conta la quantità ma la qualità, specialmente se alla quantità non è stata minimamente affiancata la qualità che può rendere prezioso ogni nostro gesto; ciascuno di noi, quindi, è chiamato a donarsi per quello che realmente è. Ogni nostro dono, ogni nostra offerta, se fatti col cuore, con fede, carità ed umiltà rappresentano già il massimo solo perché nati dal nostro minimo, dalla nostra piccolezza e racchiudono parti di ciò che di più importante possediamo: la Vita. Donare la propria vita non deve far pensare solo all’atto eroico ed estremo di sacrificarla ma deve esser visto come un continuo morire a se stessi, morire all’orgoglio, morire alla voglia di supremazia per ricominciare a vivere sotto una luce nuova, sotto una prospettiva che cambia sia la nostra visione delle cose e delle persone che la nostra capacità di valorizzarle. La vedova ha dato tutto ciò che aveva per vivere ed ha dato più di ogni altro ricco, anche se le sue monete sono poca cosa in confronto alle ricchezze degli altri, quello che conta è il gesto, la natura stessa del gesto e tutto il sentimento che sta dietro il compierlo; il Signore non si accontenta dei nostri tesori materiali, non sa che farsene, sono il “superfluo” , lui mira a possedere un tesoro di inestimabile valore ma per arrivare a possederlo occorre che ciascuno lo doni e per donarlo è necessario che noi stessi ci rendiamo conto di custodirlo, di possedere una così grande ricchezza. Se, infatti, accettiamo e riconosciamo d’essere dono di Dio allo stesso tempo affidiamo alle Sue mani la custodia di questo dono, alla Sua volontà il destino della nostra stessa vita, e la salvezza, quindi , sarà inevitabile, perché Lui vuole il meglio per noi e allo stesso modo vuole il meglio da noi. La sua volontà non deve esser vista come una mania o una voglia di possederci ad ogni costo, noi siamo già suoi, con la nascita e con la morte ce lo ricorda costantemente, Lui vuole semplicemente la nostra vita, non per renderla piatta, triste, imprigionata dietro alle “sbarre” di rigide regole e divieti, ma al contrario per salvarla. Aderire al messaggio di Cristo non è un gesto estremo di “folli” che rinunciano ad un’esistenza serena e felice o di chi dice addio alla vita perché, per nostra fortuna, c’è una gioia che va oltre la vita che attualmente viviamo, c’è una felicità che ci accompagnerà anche dopo e c’è una vita che non potrà mai avere fine, una realtà della quale è già possibile pregustare la dolcezza, se solo lo vogliamo. Accettiamo per prima cosa ciò che siamo, riscoprendo nel nostro Essere la piena volontà del Padre ed in quest’ottica sviluppare così una predisposizione del cuore al cambiamento e una sete di verità, dell’unica verità esistente. Non guardiamo, quindi, l’offerta fatta dagli altri, non possiamo ne dobbiamo esserne invidiosi, perché ciascuno di noi è un dono unico se solo riusciamo ad orientare totalmente il nostro pensiero e il nostro vivere all’idea concreta dell’essere Dono, grande nella sua miseria. Non occorre compiere prodezze basta essere sinceri con se stessi e con Dio ed affidare a Lui la nostra materia, donare a Lui la nostra vita come così com’è, riconoscendo le nostre mancanze e le nostre debolezze e confidando nella sua immensa misericordia “Tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza”. Ecco il dono più grande, ecco il dono degno d’esser chiamato offerta, “uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto ed umiliato tu o Dio non disprezzi” e Dio agli olocausti predilige il nostro cuore purché sia cosciente e consapevole. Preghiamo il Signore perché ci dia il coraggio di riporre tutto nelle sue mani e la nostra stessa vita, la nostra volontà e i nostri desideri siano in armonia perfetta con i suoi pensieri e con il disegno divino dentro il quale ha sapientemente tracciato i contorni della nostra esistenza.

sabato 22 novembre 2008

Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi

Luca 20,27-40
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”. Gesù rispose: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. Dissero allora alcuni scribi: “Maestro, hai parlato bene”. E non osavano più fargli alcuna domanda.

Come sempre le domande rivolte el Maestro nascondono il tentativo di metterlo in difficoltà, ma stavolta la risposta data agli scribi e ai sadducei è davvero esauriente "Maestro hai parlato bene". "Dio non è Dio dei morti ma dei vivi; perchè tutti vivono per lui" con questa affermazione fatta da Gesù scompare la negazione della risurrezione o meglio cambia l'idea che questi avevano della risurrezione stessa. E' inevitabile dover abbandonare il proprio corpo al momento della morte perchè è impossibile accedere all'altro mondo con le zavorre che ci trasciniamo dietro in questa vita. Ci paragona agli angeli "essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio" e comegli angeli saremo liberi, leggeri,puri, e il nostro volto brillerà perchè costantemente in contatto con la Luce eterna. Nell'altro mondo non saremo ne ricchi ne poveri, ne belli ne brutti, ne neri ne bianchi, ne moglie ne marito, ma ciascuno di noi sarà ciò che è stato capace di edificare in vita; per essere giudicati degni quindi occorrono un costante "lavoro" un'intensa attività che abbiano come scopo quello di giungere Vivi al cospetto del Padre, Dio dei vivi. Non vi sarà differenza alcuna perchè la giustizia divina e la misericordia di Dio non hanno confini; grazie Gesù che ci doni, col tuo esempio, la strada da percorrere e con la tua Parola una guida sicura per non cadere e perdersi.

giovedì 20 novembre 2008

Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace

Luca 19,41-44
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”.

Non lasciamo che il Signore pianga su di noi e sulla nostra cecità dinanzi alla via della Pace. Riconosciamo il tempo in cui siamo visitati quel momento in cui è possibile salire e percorrere quella via che ci viene indicata, lasciando tutto ciò che fino ad allora ha occupato la nostra esistenza per dar spazio alla Pace, alla vera pace. Non allontaniamoci da Cristo e non lasciamo che ai nostri occhi venga nascosto il Suo Volto ma iniziamo una vera conversione che ci porti a comprendere la Verità per averla vinta, così, sui nemici che tenteranno di cingerci con trincee e di abbatterci. O Signore donaci la capacità di riconoscerti e di seguire, con fede, il tuo esempio.

martedì 18 novembre 2008

Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto

Luca 19,1-10
In quel tempo, Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io dò la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

Zaccheo, oggi, vuole vedere Gesù, e cerca di farsi spazio tra la folla perché non riesce a individuarlo in quanto basso di statura. Sale su un sicomoro per acquistare la visuale ma subito Gesù lo invita a scendere. È bastato davvero così poco per far capire a Gesù che Zaccheo lo stesse cercando? Nonostante egli abbia tentato solo di superare la sua bassezza fisica evidentemente dietro questo tentativo si celava un desiderio ancor più grande che Gesù stesso già conosceva. Lui passa spesso dalle nostre parti anche se tutti i nostri limiti ci ostacolano Lui c’è ed aspetta solo un nostro cenno, un nostro minimo sguardo perché si metta in moto quel grande amore che ci porterà a superare anche altri limiti ed a convertirci con il cuore e con l’anima. Quando lo cerchiamo magari siamo spinti dalla curiosità o da un bisogno impellente di ricevere qualche grazia immediata, ma man mano che ci accorgiamo della Sua vera natura e della sua misericordia quella grazia tanto sperata sparisce per far posto a richieste ancor più importanti come il perdono e la nostra salvezza. Affinché tutto ciò si attui, affinché sia possibile pregustare le Sue dolcezze, però, è necessario scendere; Gesù lo ordina a Zaccheo “scendi subito”, gli ordina di scendere dai piedistalli che si è costruito con il suo lavoro, con le sue ricchezze perché è tempo di convertire questi “talenti”, ritenuti l’unica grande ricchezza, in qualcosa di più grande e prezioso. Penso a quante volte il peccato ci allontani dal Signore, il nostro sentirci indegni ci porta a scendere sempre più verso il basso rifiutando ogni aiuto e la grande possibilità di essere perdonati. Gesù ama i peccatori e li ama così tanto da spendere la propria vita per salvarli, ama sedersi con loro e visitare le loro case perché ha a cuore la salvezza di ognuno di noi. Il medico non giova alla persona sana “il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, Lui ci cerca e lo fa con discrezione senza imporre niente sta a noi riconoscere la nostra debolezza, il nostro peccato, e iniziare ad innalzare il nostro cuore, scendendo dalle false altezze, e rimetterci nelle Sue mani, rimediando in tutte le nostre mancanze e iniziando un nuovo cammino dietro Colui che ci ha salvati. O Signore grazie per avermi cercato e per avermi messo in condizione di rispondere, sono riuscito a vederti e spero, con l’aiuto della tua misericordia, di non perderti mai di vista.

lunedì 17 novembre 2008

Che vuoi che faccia per te?

Luca 18,35-43
Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!”. Allora incominciò a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: “Che vuoi che io faccia per te?”. Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”. E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.

"Che vuoi che io faccia per te"... l'insistenza del cieco e il suo urlare più forte può essere paragonata all'insistenza della vedova esaudita dal giudice, ed è la stessa insistenza e perseveranza che Gesù vuole in noi. Perseverare ed essere costanti nella preghiera è innalzare e elevare il nostro cuore verso Colui che tutto può. Certamente Gesù conosce le nostre infermità, i nostri limiti, ma vuole che siamo noi stessi a chiederli di cosa abbiamo bisogno, in cosa dobbiamo essere guariti, perchè vuole metterci in condizione di individuare la nostra natura e in essa discernere il giusto dal sbagliato. Lui ci ha dato questa capacità anche se spesso preferiamo farla "riposare" lasciando che siano gli altri a decidere cosa sia buono per noi; come quelli che camminavano avanti al cieco e cercavano di farlo desistere, così i falsi modelli che oggi inseguiamo ci tappano la bocca, e tarpano le ali alla nostra fede spesso debole e frivola. Prima di chiedere qualcosa accertiamoci di essere in grado di farlo, è la fede che guarisce il cieco, è la fede che risana il lebbroso, ed è la fede che ci porterà ad essere pronti ad accogliere l'intervento del Padre nella nostra vita. Se non ci fidiamo di Cristo se non accettiamo quello che lui ci ha donato nel luogo e nel momento che viviamo non possiamo chiedergli niente se non di donarci la capacità di affidarci totalmente a Lui. O Signore ridonaci la vista e guarisci le nostre ferite affinchè possiamo seguirti e gridare ad alta voce la tua misericordi e il tuo amore; rafforza la nostra fede e nelle tribolazioni ci assista la speranza e la certezza di non essere mai soli.

domenica 16 novembre 2008

Sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone

Matteo 25,14-30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

L'esortazione a svegliarci e ad essere attivi oggi è davvero forte. Quando ciascuno di noi si ferma per tirare le somme di ciò che è stato e di ciò che ha saputo far fruttare dalle risorse che gli sono state donate dal Padre, è inevitabile pensare che non si è mai fatto abbastanza, che siamo stati cattivi gestori delle nostre risorse e che, forse, abbiamo operato in maniera errata abbandonandoci alla pigrizia e alla paura. Investire i talenti che il Padrone ci ha affidato può sembrare cosa facile e semplice, come depositarli in banca ed aspettare il tempo dovuto, invece no, perchè investire ciò che ci ha affidato è un'operazione molto complessa perchè alla base ci sta la capacità di saper mettere in gioco se stessi e la propria vita. Innanzitutto occorrerebbe una presa di coscienza, ed una valutazione concreta di ciò che possediamo, del perchè lo possediamo, e dello scopo che il Padrone si è preposto nel momento in cui ha affidato a noi questa ricchezza; non sempre ci riusciamo, vuoi per sfiducia in noi stessi, per scarsa autostima, per paura di perdere, preferiamo nasconderci e vivere un'esistenza sterile, senza frutti, peccando di infedeltà verso il Padrone. Leggiamo nel passo di oggi la condanna che spetta al servo che ha preferito seppellire il talento, a quel servo che ha optato per seppellire la propria vita, al servo che ha deciso di vivere nel buio, "E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”, il servo inutile sarà cacciato dal regno dei cieli, nelle tenebre avrà la sua dimora perchè non ha saputo ricavare dalla sua inutilità l'utile che spettava al Padrone. Alcuni giorni fa si parlava dell'essere servi inutili come di un pregio, e infatti lo è perchè lo siamo quando però facciamo quello che dovevamo fare. Oggi l'essere inutili acquista il suo vero significato perchè non siamo riusciti a cogliere il senso della nostre esistenza, non siamo stati in grado di ascoltare la voce del Padrone e in essa percepire la vocazione che è stata assegnata a ciascuno. Siamo inutili e sordi, infruttuosi, pigri e ogni volta che l'amarezza ci assale, ogni volta che la tristezza ci sconvolge, cadiamo per non rialzarci più. Quando pensiamo e ci domandiamo "cosa ci faccio in questa terra?", fermiamoci a valutare seriamente tutto ciò che è stato messo a disposizione come ad una potenziale materia da modellare e da sfruttare a piacimento di Colui che ce l'ha donata; nel tesoro che ci ha affidato credo ci sia celata la vocazione personale di ciascuno di noi, nei nostri pregi c'è la volontà del Padre e nei nostri difetti la sua immensa misericordia che sta a ricordarci il nostro essere inutili, il nostro essere poveri e miseri servi nelle Sue mani. O Signore aiutaci a non cadere mai ma a rialzarci nelle prove e nella fatica vieni in nostro aiuto perchè non perdiamo mai di vista il vero scopo della nostra vita, anche quando all'apparenza , per noi, un vero scopo non c'è; insegnaci ad esserti fedeli nel poco, a renderti grazie per i giorni che ci dai di vivere e a valutare ogni attimo della nostra vita come un immenso dono da non sperperare ma da investire per prendere parte a quella gioia che hai preparato per ognuno di noi.

sabato 15 novembre 2008

Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui

Luca 18,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé. Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”. E il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico cGiustificahe farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”

"Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?"... Una domanda che sa di avvertimento perchè senza la fede non ci potrà mai essere preghiera, senza la fede non sarà mai possibile quell'unione che solo una preghiera costante, e carica di fede, può portare. Forse il Figlio dell'uomo non la troverà sulla terra perchè oramai l'intera umanità si sta allontanando dalla fede ma la venuta intesa in questo brano è quella che un giorno ci vorrà tutti dinanzi a Lui, giudice supremo, a rendere conto del nostro operato e della nostra condotta. Non troverà la fede!!Non la troverà sulla terra e non la troverà in noi, Perchè non ci troverà pronti e vigili, ma impegnati chissà a far cosa invece di pregare notte e giorno per la nostra salvezza. Ci vuole insistenti, come la vedova con il giudice, perchè come la vedova molesta ha avuto giustizia contro il suo nemico, per poter ottenere il perdono dei peccati, la salvezza eterna e la vittoria sui nemici che hanno oscurato la nostra vita. Preghiamo costantemente per la nostra salvezza e perchè il Signore possa convertire noi per vivere in unione con lui e con i fratelli.

venerdì 14 novembre 2008

Verrà il giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà

Luca 17,26-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà. Vi dico: in quella notte due si troveranno in un solo letto; l’uno verrà preso e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo, l’una verrà presa e l’altra lasciata”. Allora i discepoli gli chiesero: “Dove, Signore?”. Ed egli disse loro: “Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi”.

“Nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà” , questo giorno è temuto da tutti perché viene affiancato al giorno della morte fisica, un argomento tabù tanto esorcizzato, spesso nascosto, di cui non si parla perché ritenuto roba d’altri. Si ha paura della morte perchè viviamo totalmente legati al lato materiale della vita, tutti intenti a migliorarla, ad allungarla ignorando la condanna che spetterà a chi avrà operato cosi. Non esiste solo la morte fisica ma vi è un’altra morte, ed è la fine che spetta a chi, come al tempo di Noè e Lot , preferisce occuparsi d’altro piuttosto che vegliare ed attendere la rivelazione del Figlio dell’Uomo, a chi nell’attimo stesso preferisce voltare lo sguardo, tentando di tornare indietro o di raccattare qualcosa. A niente varrà questo tentativo se non a perdere definitivamente la vita. C’è una morte peggiore di quella fisica ed è una morte che si vive quando si sta nel peccato, quando siamo vinti da esso e non ci accorgiamo della vita che ci sta dinanzi, una nuova vita che per esser vissuta ci impone di morire al peccato ed assaporare la gioia dell’esser liberi. Morire al peccato, morire a se stessi è vivere in Cristo e la Sua rivelazione, il trovarci santi al Suo cospetto sarà la porta di accesso al regno del Padre dove entrerà solo chi ha accettato di perdere la propria vita, di rinunciare a ciò che era per divenire strumento nelle mani di Dio, di Colui che l’ha messo al mondo e di Colui al quale appartiene tutto di noi. A Lui la potenza di risuscitarci a vita eterna e alla Sua misericordia la forza di non lasciarci morire in un sepolcro ma esser presi e accolti dal suo immenso amore. Quasi si invidia la sorte di quell’uomo che viene lasciato sul letto, di sicuro non vorremmo essere nei panni di quello scelto, ma analizzando la frase finale “dove sarà il cadavere, la si raduneranno anche gli avvoltoi” è facile comprendere che la sorte dell’uomo lasciato non è poi da invidiare, perché senz’altro, rifiutando Dio, con la morte fisica di lui non rimarrà niente, come il cadavere che col tempo e con il lavoro degli avvoltoi, non lascerà traccia. Così non rimarrà niente di chi si prodiga a salvare la propria vita e si affanna ad accumulare tesori in terra non riuscendo a concepire che è nel cielo che bisogna “investire e puntare”, là sarà la dimora eterna, dove si potrà giungere solo se si è scelto Dio come Padre e come guida. La salvezza non si acquista con assegni o versamenti a rate, siamo stati salvati mediante l’offerta di qualcosa di incorruttibile, come solo il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo può essere; siamo chiamati a vivere questa salvezza e pian piano conquistarla incarnando l’esempio di Colui che ci ha liberati dalla morte vincendo la morte. “Se siamo morti con Cristo crediamo anche che vivremo con Lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più” (Rm 6,8-9)

giovedì 13 novembre 2008

Il Regno di Dio è in mezzo a voi

Luca 17,20-25
In quel tempo, interrogato dai farisei: “Quando verrà il regno di Dio?”, Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!”. Disse ancora ai discepoli: “Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione”.

“E’ necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione”, era necessaria la morte in Croce affinché ci si rendesse conto che il “Regno di Dio è in mezzo a voi” e che gesù cristo è il figlio di Dio. Attendiamo chissà quali segni o avvivi e ci perdiamo nel ricercarli in preda a fanatismi ed illusioni, senza riuscire a vedere che è davvero in mezzo a noi. Certo bisognerebbe analizzare come ciascuno di noi immagina il Regno di Dio, perchè nell’idea che abbiamo ci sta la possibilità di renderlo concreto, di viverlo e incarnarlo già in questa vita. Abbandoniamo per un attimo i luoghi, i colori, le forme, i suoni, e pensiamo a questo regno come ad una realtà, un momento senza tempo dove ognuno è uguale all’altro, dove non c’è interesse alcuno che non sia quello di servire nei fratelli Dio. Un regno senza odio, senza contrasti, senza sete di sopraffazione ne fame di vanagloria, è un regno molto distante dalla realtà che viviamo noi però è perfettamente fattibile, non è impossibile vivere il Regno di Dio già in terra. Gesù stesso oggi ce lo ricorda e Gesù stesso ci ha dato esempio con la sua vita e ci da conferma di tutto ciò invitandoci a cercarlo fin quando si farà trovare. L’amarezza dopo sarà tanta, “verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete” perché se abbiamo scelto di allontanarci da Lui anche Lui si allontanerà da noi e quando ci accorgeremo di non saper più vivere senza la Sua presenza il rimpianto di quei giorni, dei giorno in cui era possibile abbracciarlo, tormenterà il nostro cuore. Da ragazzi nei diari scrivevamo “ti accorgi dell’importanza di qualcuno solo quando lo hai irrimediabilmente perduto” e penso a tutta la gente che ha assistito alla crocifissione di Gesù ed immagino i loro cuori al momento in cui si sono resi conto d’aver ucciso il Salvatore; cuori disperati, che, però, non conoscevano l’immensa misericordia del Padre e non sapevano che dopo la morte sarebbe risorto per rimanere vivo in eterno. Per grazia di Dio noi non abbiamo perso Cristo, Lui è rimasto con noi e se ci impegniamo sarà facile trovarlo e non perdersi mai più perché grazie a Cristo nessuno più mai andrà perduto, nemmeno a causa della morte, al contrario con la morte sarà riaccolto tra le braccia del Padre a godere di quel Regno già assaporato in terra. Non perdiamo allora tempo a cercare segni straordinari, ma accorgiamoci di quanto sia straordinario amare senza misura e scoprire nella carità e nella comunione coi fratelli il Regno di Dio.

mercoledì 12 novembre 2008

Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!

Luca 17,11-19
Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vide, Gesù disse: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”.

In questo brano del Vangelo ci sta scritto l’iter che, ciascuno di noi, ha compiuto dopo essersi convertito. Si, è vero che siamo cristiani dal battesimo ma è anche vero che Veri cristiani lo si diventa solo con una Vera conversione del corpo, dell’anima e del cuore. Il primo sta passo sta nel saper riconoscere la propria colpa, come il lebbroso che comprende e che convive con la sua malattia e si accorge che l’unico aiuto può venire solo dal Signore, così noi comprendiamo che solo in Cristo c’è la redenzione, solo con la sua croce c’è il perdono. Valutando il nostro peccato man mano ci accorgiamo che conviverci diventa insopportabile, soprattutto dopo aver incontrato per la nostra via Gesù, e dopo aver deciso di andargli incontro, se pur fermandoci a distanza, perché inconsapevoli della grande misericordia che ci sta dinanzi. Lui ci invita ad andare, a presentarci, ad incamminarci per la strada che ci indica, e su quella strada troviamo la guarigione perché è su quella strada che Lui vede tutto il nostro pentimento, avverte il nostro reale distacco dal peccato, e valuta le potenzialità del nostro cuore e la sua disponibilità. Se Gesù decide di guarirci lo fa perché in noi ha trovato terreno fertile e lo fa perché sa che ritorneremo indietro per gettarci ai suoi piedi e li rimanere per rendere gloria. Lui apprezza tanto questo gesto ed è grazie a questo ritorno che dona al lebbroso la fede, ma è anche la fede che induce il lebbroso a ritornare per acquistare anche la salvezza dell'anima per l’eternità “la tua fede ti ha salvato” . Evidentemente gli altri nove non hanno saputo riconoscere nella guarigione “la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini” e sono tornati a percorrere la vecchia via, ad essere “insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia” rinunciando inesorabilmente alla salvezza, ad essere “eredi, mediante la speranza, della vita eterna”. Me se è vero che ci riconosciamo nel lebbroso guarito e salvato, è altresì reale il fatto che molto spesso non riusciamo ad andare oltre la fisicità e a domandare a priori la guarigione della nostra anima e la conversione del nostro cuore, ci fermiamo a valutare le sofferenze del nostro corpo e ci buttiamo a capofitto ai piedi del Signore, senza presentarci, anche se lui ci conosce, senza riconoscere quello che siamo e senza preoccuparci di realizzare un ragionamento concreto di ciò che lui è per noi. Ci basta sapere che c’è, che ascolterà le nostre preghiere e che se vorrà farà il “miracolo” tanto sperato, guarirà una nostra malattia, ci solleverà da qualche crisi economica o sentimentale, per ritornare, dopo, alla vita di sempre, ingrati e insensibili, firmando, così, la nostra condanna. Lasciamo che il Signore guarisca le nostre ferite accogliendo con fiducia e speranza il suo costante invito alla conversione, per accedere al “lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo” e diventare sue eredi ed essere salvati grazie al dono della fede, un grande dono che certamente ci condurrà alla meta finale del nostro cammino di conversione: l'inizio della vera vita.

martedì 11 novembre 2008

Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare

Luca 17,7-10
In quel tempo, Gesù disse: "Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".


“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Si potrebbe benissimo invertire il senso di questa frase “Siamo servi utili, ma non riusciamo a compiere quanto dovuto” ed affermare esattamente ciò che siamo convinti di essere. Ed è proprio vero che nell’utilità che noi stessi ci riconosciamo poniamo il limite di ogni nostra opera e nel crederci perfetti seppelliamo ogni possibilità di migliorare e crescere. Ormai non può esistere l’antico rapporto che c’era tra padrone e servo, i tempi e i sentimenti sono cambiati e tutti ci sentiamo in diritto di chiedere e di esigere non riuscendo più nemmeno a servire noi stessi, figuriamoci chi ci sta accanto. L’umiltà è stata sommersa, e chi con fatica tenta di difenderla o di mantenerla nella propria condotta e nel vivere quotidiano è destinato ad essere schiacciato, emarginato perché ritenuto perdente in una società di grandi vincitori. L’essere servo viene concepito in modo del tutto errato, nessuno credo sogni mai di fare il servo perché tutti puntiamo a cariche ben più alte, accecati dal luccichio di false mete perdendo di vista la Meta più luminosa che possa esistere, tanto luminosa da non poter esser vista dagli occhi ma scrutabile solo col cuore, che se umile, riesce a guardare oltre ogni limite umano. L’umile vede tutto ciò, l’umile scruta la Luce e non si abbaglia perché comprende la sua intensità, la sua forza e sa come muoversi, sa come raggiungerla e accogliendola si sottomette, divenendo servo, inutile, mettendosi in gioco con la sua vita stessa e sacrificandola se necessario, senza vantare alcun diritto, memore del grande dovere di servire, rinnegando “l’empietà e i desideri mondani, e di vivere con sobrietà, giustizia e pietà” . Quella luce è Cristo che ci chiama quotidianamente a sottometterci a lui e divenire servi della sua causa senza mai ricercare nessun profitto ne gloria personale ed essere, si perdenti tra gli uomini, ma vincitori nel suo nome. L’essere stati scelti e chiamati è la grande consolazione, la gratificazione che ci deve spingere a cambiare necessariamente atteggiamento ed iniziare a “camminare per via integra” perché solo così si diventerà sui servitori. Molto facile a dirsi con le parole, come sempre la difficoltà sta nel convertire tutto nei fatti, nella vita che ciascuno di noi vive, egoisticamente e sempre alla ricerca di diritti, di interessi e di guadagno. Tutto per noi è mercato, barattiamo i sentimenti, le amicizie e quasi sempre, con spontaneità, con il baratto ci confrontiamo anche con il Padre. Così se Lui da qualcosa, noi siamo disposti ad offrire altrettanto e le stesse nostre opere finiscono per divenire merce di scambio, con un suo valore, un suo peso, e ben misurate a seconda di quanto offerto, opere che mai si diversificheranno dall’essere materiali. Ma davvero crediamo che Dio possa accontentarsi del nostro oro o del nostro denaro? Davvero siamo convinti che basta una carta di credito per acquistare un posto nella sua casa? Davvero chiediamo di possedere un degno contraccambio da schierare di fronte al Suo amore? “Non a prezzo di cose corruttibili, come oro e argento, siete stati salvati”, Il Padre si accontenta di qualcosa di più semplice, ma che per lui vale tanto, non sa che farsene dei nostri tesori perché aspira a possedere un tesoro molto più grande spesso ritenuto da noi senza valore, Lui vuole noi stessi! Vuole la nostra vita, ci vuole servi pronti a portare a compimento tutto il lavoro senza mai mormorare ma operando con la speranza di giungere un giorno alla Sua presenza e chiedergli, non una liquidazione o le ferie dovute, ma di sedere alla sua mensa ora che “Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Riconosciamoci profondamente debitori dinanzi al Signore, debitori di quell’amore che Lui ci ha donato con Cristo e che ci porterà a seguirlo ed inevitabilmente a servirlo amandolo; amare Cristo è servirlo perché nel riconoscerlo come dono del padre, come prezzo del nostro riscatto, si riconosce anche il suo essere servo, e nell’amare questa sua condizione si è disposti ad incarnarla e divenire noi stessi servi, dono di Dio ai nostri fratelli. Siamo servi inutili nella misura in cui chiediamo una ricompensa diversa da quella già preparata per noi da Colui che si è fatto servo e ci ha serviti fino alla morte in Croce, e siamo utili perché chiamati a costruire già in terra, con fatica, il regno che un giorno abiteremo non per i nostri meriti ma per la grazia e l’amore del Padre.

lunedì 10 novembre 2008

Se sette volte al giorno ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai

Luca 17,1-6
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi! Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai”. Gli apostoli dissero al Signore: “Aumenta la nostra fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”.


"Signore aumenta la nostra fede", quanta è potente la fede, ignoriamo la sua potenza e spesso non ci preoccupiamo di pregare il Padre affinchè continui ad aumentarla sempre più."Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe" basta davvero un granello di senapa per riuscire a sradicare il nostro odio, il nostro orgoglio, basta essere come un granello di senapa, il più piccolo dei semi perchè è nei piccoli che Gesù ha riversato tutta la sua attenzione, è nei deboli che lui opera per innalzarli con la sua parola e con ogni sapienza. "State attenti a voi stessi" l'avvertimento è chiaro per chi si permettere di scandalizzare "uno di questi piccoli" addirittura converrebbe esser buttati in mare piuttosto che patire in eterno. La Parola di ogni mi conforta e, spero, dia coraggio ai tanti che, in preda all'angoscia e tribolazioni, si sentono deboli, miseri, ma che ora sanno che dietro a tutte queste sofferenze si cela una forza maestosa, capace di innalzare tutto e di trasformare l'afflizione in gioia "quando sono debole, è allora che sono forte". Compiacciamoci delle nostre debolezze, delle sofferenze patite per Cristo e ringraziamolo della Fede che ci ha donato, quella Fede che ci rende capaci di soffrire e allo stesso modo di gioire di questa sofferenza, perchè soffrire per Lui è una grazia riservata a pochi, conservata per chi sarà capace di morire per vivere in Lui, perdonando tutto a tutti operando il bene allontanando il più possibile il male. Il Perdono è l'unica vera arma capace di sconfiggere il male, il perdono attutisce il colpo e non rimanda al mittente lo stesso colpo ma ne modifica la natura convertendo il male in amore. perdonare in modo incondizionato è un buon esercizio che ci aiuta a liberare il nostro cuore e a renderlo piccolo ma accogliente.

SALMO 89


“Tu fai ritornare l’uomo in polvere perché si sazi al mattino con la tua grazia ed esulti e gioisca per tutti i suoi gironi”

“Tu fai ritornare l’uomo in polvere” e frantumi man mano tutto ciò che l’uomo è stato per far spazio e liberare il suo cuore da ogni vana certezza e condurlo a ciò che sarà. Allo scopo di farlo ritornare, di ricordare lui la sua vera vocazione, riportare alla luce la vera nobile causa che lo ha voluto salvo per opera della Croce, Tu lo colpisci e poi lo risani, lo uccidi, se necessario, perché egli non muoia lontano da Te. Sei buono e gentile anche in questo, nel mostrare il tuo sdegno e nel manifestare “ai tuoi servi la tua opera” affinché non sia distruttiva ma lentamente costruttiva e risanatrice. “Ritornate figli dell’uomo” vuoi un ritorno a ciò che realmente siamo, per rendere grazie alla Sapienza e alla Misericordia che ci hanno messo in condizione di uniformarci all’unico degno di essere Figlio. Ritornate! Ritorniamo alla nostra vera essenza, iniziamo a contare i granelli di polvere che formano la nostra fortezza, creduta inespugnabile, forse così, ritorneremo ad avere timore del Vento che tutto può spazzare. Anche se Lui soffia lento e piega gli steli per poi rialzarli, ha la forza di sradicare, di estirpare anche la più robusta casa e la cinta più solida, quindi cosa mai potrà farne di noi?

“Sono come l’erba che germoglia al mattino” “i loro anni come un soffio” tutta la nostra forza, la nostra sicurezza, sono paragonate all’erba del mattino, fragilissima, tenera, ma pura, incontaminata; due realtà all’apparenza discordanti ma semplicemente in armonia perchè tu hai voluto che così fosse, hai affidato la purezza alla debolezza e alla fragilità, perché nella fragilità sono celate una grande forza e la volontà di ascoltare e di crescere. Spesso, però, anche la fragilità può degenerare e se si trasforma in sfiducia perde la capacità che ha di essere conduttrice della Tua volontà, se la fragilità produce sfiducia in se stessi produrrà anche sfiducia in Colui che ci ha creati, in quella mano che ci ha formati così come siamo, seguendo un suo progetto, un suo disegno perfetto che prima o poi troverà compimento. All’erba del mattino hai donato questa grande possibilità e nelle sue qualità e nelle qualità degli umili hai deposto la chiave per accedere allo scrigno della verità: La Sapienza del Cuore.

Come l’erba ci hai voluti, con gli stessi cicli e le stesse rotazioni, come l’erba siamo rimasti quando non abbiamo voluto accogliere quello che ci hai donato: un’anima, una coscienza e l’intelligenza che ci avrebbero dovuto avvicinare a te, iniziando a germogliare proiettando le nostre foglie e poi i nostri rami verso il cielo, come una scala, da percorrere per raggiungerti. Tu lo sai, però, che il nostro corpo non sempre è orientato verso l’alto, preferisce fissare le proprie radici alla terra, espandere come ad acquistare sicurezza cadendo inesorabilmente sempre più in basso per non risalire più. Le radici si beano dell’oscurità ma noi siamo tuoi figli, figli della luce e per questo ci chiami a vincere il buio, ad allontanarlo dalla nostra vita. Questa è una grande battaglia, è questo il limite da superare per averla vinta anche su se stessi e per accedere, con la chiave in pugno, al regno dove non approdano ne corpo ne qualsiasi altra forza materiale quel regno fatto di luce perenne. Quanto è difficile avere il calco di quella chiave anche se ci doni costantemente la possibilità di possederlo perché tu vuoi la nostra gioia e insieme alle afflizioni ci colmi di conforto, accanto alle tentazioni poni la forza per superarle, e dentro al nostro corpo hai posto un’anima, e non per essere celata da tutto ciò che il nostro corpo è in grado di produrre ma perché sia essa stessa la fonte di ogni nostro gesto, essa stessa, in sintonia con la Forza che la governa, sia la nostra voce e la Tua volontà. Sia l’anima più forte del nostro corpo e ci aiuti a comprendere che lo possediamo per provare e condividere sulla nostra stessa carne le sofferenze fisiche della tua croce, cosicché l’anima stessa ne abbia giovamento, e tutti i dolori, le pene e le afflizioni la spingano sempre più ad unirsi a Te che tutto hai vinto e vivere, alla fine, l’agonia della tua anima per affidarci totalmente alla volontà del Padre.

Ci hai voluto donare un corpo e un’anima perché queste nostre due dimensioni potessero trovare armonia e fondersi in un’unica entità, capace di godere di quell’equilibrio e della lucidità essenziali per comprendere molte cose, per scovare il nobile scopo che si nasconde dietro ogni tua azione, dietro la tua ira. “Perché siamo distrutti dalla tua ira”, ma non c’è niente di distruttivo, tu ti manifesti spesso con impeto perchè ben conosci ogni angolo del nostro cuore e sai benissimo cosa vuoi compiere in noi; in un cumulo di macerie c’è la materia per edificare, tra i calcinacci e la polvere di un’esistenza sbagliata c’è la consapevolezza, grazie al tuo intervento, di poter ricominciare e di doverlo fare traendo forza da quello stesso impeto e riscoprendo dietro il Tuo furore un immenso amore. La tua ira viene in nostro aiuto, viene per salvarci, accompagnata dalla Tua grazia, ci scuote, ci colpisce e ci sana, ci fa rialzare mettendoci in condizione di riconoscere il nostro peccato e valutarlo, elevando l’anima istituendola guida sicura per il nostro corpo.

“Insegnaci a contare i nostri giorni” insegnaci ad utilizzare il metro che tu stesso ci hai consegnato, a valutare cosa è giusto e cosa non lo è, perché ci hai messi in grado di farlo e con il tuo Spirito alimenti quotidianamente questa nostra capacità molto spesso assopita e volutamente dimenticata; con molta facilità contiamo i nostri giorni e con la stessa noncuranza valutiamo le nostre colpe sminuendole e non riconoscendo l’offesa fatta e la mancanza che stanno dietro al peccato. La Sapienza del cuore la si può raggiungere solo così, conoscendo prima se stessi, riconoscendo le debolezze, e pregando costantemente il Signore di saziarci “al mattino con la sua grazia” per esultare e gioire per tutti i nostri giorni ed assaporare già in terra piccoli soffi di eternità, e grandi dosi di Bontà, “la bontà del Signore, nostro Dio”.

“Rafforza per noi l’opera delle nostre mani” perché noi da soli siamo niente e basta poco per perdersi, per vedere il buio nelle afflizioni, la disperazione nella sventura e per sprofondare con la nostra fragilità nei baratro che tu ci poni davanti. “L’opera delle nostre mani rafforza” dona forza alle nostre mani, alle nostre gambe perché saltino senza indugio e aggrappandoci con ogni speranza, superare l’oscurità del vuoto e giungere a Te, unico rifugio per noi.

venerdì 7 novembre 2008

I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce

Luca 16,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.

“I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” , i figli della luce hanno conosciuto la Luce, quella vera e come conseguenza hanno abbandonato tutto ciò che li legava al mondo, tutto ciò che di materiale li separava dalla vera Luce. L’amministratore si preoccupa del suo destino “ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione” evidentemente non ha fiducia del suo stesso padrone che, forse, voleva una semplice conversione, voleva che l’attività venisse liberata dagli interessi personali e ridimensionare la gestione degli averi. Noi come gestiamo il nostro patrimonio? Cosa facciamo del tesoro che il nostro Padrone ci ha affidato quando, con il battesimo, ci ha accolti nella sua “proprietà”? Lo sperperiamo, o ancor peggio non ci accorgiamo nemmeno di possedere una potenziale ricchezza. Siamo troppo impegnati a contare altro ed a calcolare altri interessi e non diamo importanza a ciò che effettivamente merita tutto il nostro interesse. “Essi hanno come Dio il loro ventre” S. Paolo lo ricorda ai Filippesi e lo ricorda anche a noi che abbiamo perso ogni fiducia verso quel Padrone, pronti ad accusarlo al primo tentativo di toglierci l’amministrazione,ignorando totalmente la bontà che sta dietro ogni sua azione. Lui ci ama e ci vuole salvi, vuole che il nostro operare sia leale a prescindere del nostro destino e ci vuole pronti nell’amare il prossimo e nel saper perdonare ogni debito senza ricercare nessun beneficio personale, ma a lode del suo Nome. Non dobbiamo avere paura nel ridare al Padrone la gestione dei nostri averi, occorre saper ammettere che non siamo possessori ma semplici usufruttuari, obbligati a curare ciò che abbiamo avuto in prestito ed a mettere in comunione e in condivisione con i fratelli ogni singolo grammo del nostro tesoro. La nostra vita è un dono e spesso nelle nostre mani perde questa peculiarità “tutti intenti alle cosa della terra” ci dimentichiamo totalmente della vocazione alla quale siamo stati chiamati e che ci è stata affidata donandoci alle futilità di ogni giorno. Ecco perché il Padrone ci richiama e ci invita a rendere conto della nostra amministrazione, Lui conosce ogni nostra mossa e sa cosa c’è dietro ogni nostra azione, non possiamo interpretare questo come mancanza di fiducia nei nostri confronti al contrario è una grande e immensa manifestazione d’Amore che vuole ricordare a ciascuno di noi ciò che siamo “buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio”. Lui si fida altrimenti non avrebbe affidato ma vuole che tutto si compia nel rispetto del grande comandamento dell’amore rendendo costantemente testimonianza uniformando ciò che siamo con ciò che proclamiamo. Mettiamo a disposizione di tutti la grazia che ci è stata donata dal Padre, deponiamo il nostro egoismo e la nostra disonestà per metterci al servizio di Dio servendo il prossimo: i figli della luce non sono scaltri perché per godere in eterno della Luce non occorre scavalcare nessuno ma al contrario incamminarsi insieme verso la “patria che è nei cieli”.

giovedì 6 novembre 2008

C’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte

Luca 15,1-10
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. Allora egli disse loro questa parabola: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”.


Gesù è vicino ai peccatori, ama le pecorelle disorientate e lontane per colpa del peccato tanto da lasciare tutto il resto del gregge per dedicarsi alla ricerca di quelle smarrite. Quando ci sentiamo giunti sull'orlo del precipizio, in preda all'angoscia, alla disperazione, alla sensazione d'aver sbagliato tutto, è li che bisogna girarsi intorno ed aprire il cuore per ascoltare tutto ciò che il Signora ha da dirci. Lui soffre per la nostra lontananza perchè ha preparato per ciascuno di noi un luogo ben diverso da quello in cui viviamo, come il padrone che organizza il banchetto e si rattrista degli invitati assenti così Gesù ha pena di chi volta le spalle e si dirige altrove. Ci cerca, ci vuole salvi e all'improvviso arresta la nostra corsa, tendendoci la Sua mano, la Sua Parola e la Sua Misericordia. O Signore fa che la mia conversione sia vera, pura, totalmente, voluta da Te e da Te guidata e sostenuta: senza di Te noi non siamo nulla! Grazie per averci voluto salvare dal precipizio!

mercoledì 5 novembre 2008

Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo

Luca 14,25-33
In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.


“Siccome molta gente andava con lui” e molta è la gente che ancora oggi ammette d’essere cristiana di seguire Cristo pur non essendola concretamente. C’è una strana visione della Croce, spesso la si vede come un simbolo da eliminare, un oggetto da conservare perché ritenuto simbolo di morte, e la si esorcizza nascondendola, nascondendo a noi stessi l’essenza e la grande Verità che deve essere alla base della nostra fede. La Croce è il fulcro, ciò che per molti è la fine di Cristo in realtà è l’inizio, perché in vista della Croce tutto è stato compiuto ed in vista della Croce ciascuno di noi è stato chiamato a percorrere la stessa via, a salire il calvario con addosso la Croce, e con la sofferenza ripercorrere la passione per accedere alla risurrezione eterna. “ Chi non porta la propria croce non può essere mio discepolo” è chiaro il messaggio, ed è chiaro che siamo invitati a condividere la passione per contemplare poi le beatitudini eterne; ma che fine hanno fatto le nostre croci? Non sempre le portiamo con noi, anzi a prima occasione ce ne liberiamo perché ingombranti e scomode, dando ad altri il compito di sorreggerle o ancora abbandonandole a se stesse purchè non siano di intralcio ai nostri progetti. È difficile rinunciare a se stessi, odiare la propria vita e i propri averi, l’uomo ha perso il contatto con tutto ciò che non è materiale e si sofferma a godere, inutilmente, solo di tutto ciò che può toccare atrofizzando inesorabilmente quegli organi capaci di percepire tutta l’immensità incorporea che sta intorno a noi. Il nostro cuore è malato, è insensibile, freddo, il nostro cuore è stato messo a tacere perché a noi piace apparire, piace costruire e progettare senza fare i conti e senza interpellare Dio, l’unico capace di donarci la forza per continuare, l’unico capace di donare la vita. E così, solo quando i nostri disegni, per qualche imprevisto, vengono stravolti ci si accorge dell’esistenza di qualcuno molto più potente della di noi, di una volontà che sovrasta ogni nostra arroganza e di un amore che non trova confine alcuno; occorre essere colpiti perché ci si renda conto che c’è una Persona più importante del proprio padre, della propria madre e della propria vita stessa, una Persona che va messa al centro ed al primo posto perché tutto viene da Lui e tutto ritorna a Lui. Allora non attendiamo tutto ciò, consapevoli d’essere stati scelti come suoi discepoli, incamminiamoci dietro di Lui portando con vanto la nostra croce sicuri del fatto che non saremo mai soli: la sua mano sarà sempre pronta a sorreggere il peso e ad asciugare le nostre lacrime e il sudore delle nostre fatiche

martedì 4 novembre 2008

Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena

Luca 14,15-24
In quel tempo, uno dei commensali disse a Gesù: “Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!”. Gesù rispose: “Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena”.

Quante scuse inventiamo a noi stessi ogni volta che ci sentiamo invitati a partecipare al banchetto che Cristo ha preparato per noi? Tante volte, infatti, non andiamo a messa perché presi da mille impegni o perché “devo lavorare” , ogni scusa è buona per declinare il più grande degli Inviti, l’invito che dovrebbe già farci sentire beati per il solo fatto d’averlo ricevuto, ed invece di riconoscere questo privilegio preferiamo proseguire oltre. Tutto ciò può continuare fino a quando la nostra freddezza lo permette, ma quando il nostro cuore si trova in condizioni adatte a percepire la vera natura dell’Invito non c’è scusa che tenga ed anzi le stesse scuse diventano, ora, ostacoli da scavalcare e abbattere pur di partecipare al Banchetto. L’ho provato sulla mia stessa pelle, e se prima il mio lavoro o gli altri impegni erano una scusante per non esserci ora sono divenuti dei macigni che giornalmente devo frantumare per esserci; si resta male quando si è impossibilitati quindi non oso immaginare la tristezza del Padrone che ha preparato per i suoi invitati e non vede giungere nessuno. Ordina ai servi di spingere dentro tutti a sottolineare il suo grande Amore nei nostri confronti e noi continuiamo a fingerci sordi. Siamo affamati ma non saranno le nostre mercanzie a saziarci, solo sedendo alla Mensa eterna sarà possibile cibarsi del pane di Vita! Apriamo il nostro cuore, accogliamo l’invito e il Signore ci aiuti a comprendere che essere “gli invitati” non significa essere “gli eletti”, per giungere a destinazione occorre sedersi a tavola e iniziare una vita nuova. Non allontaniamo Cristo dalla nostra vita l’avvertimento è chiaro “Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena”. Aiutaci Signore a saper dire di Si alla tua voce e alla tua volontà!

lunedì 3 novembre 2008

Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti

Luca 14,12-14
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”.
L'amore verso i fratelli non ha condizioni, non ha regole che non sia l'unica grande regola: dev'essere un amore incondizionato e senza secondi fini ma con l'unico scopo di rendere gloria al Padre. Nella carità non può esserci guadagno e lo stesso "sentirsi in pace con se stessi" è un atteggiamento sbagliato perchè non possiamo essere noi i beneficiari delle nostre azioni ma tutto si deve compiere allo scopo di gratificare il nostro prossimo. E' difficile, oggigiorno ancora di più, legati come siamo ai nostri egoismi e alla voglia di sopraffare e scavalcare ci viene molto pesante riuscire a mettere davanti il bisogno del nostro prossimo al nostro bisogno; il prossimo viene considerato raramente alla pari di noi ed anzi molto spesso lo vediamo come un subordinato, come un oggetto da utilizzare e da riporre nel cassetto. Le parole di S. Paolo, invece, sottolineano l'importanza della natura del sentimento che deve esserci tra noi e il prossimo "Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma piuttosto quello degli altri"... considerare gli altri superiori a noi stessi è un buon esercizio per sviluppare e accrescere la più nobile delle virtù, l'umiltà che ci porterà senza dubbio a considerarci tutti uguali, tutti figli e tutti membri di uno stesso corpo. Occorre spogliarsi di ogni atteggiamento di rivalità e dalla voglia sconsiderata di primeggiare non dimenticando mai che è "gli ultimi saranno i primi" e che è molto difficile accettare d'esserlo, accettare le proprie debolezze ed utilizzarle per essere innalzati. O Signore donaci la capacità di amare e di non desiderare nient'altro che il bene di chi ci sta accanto.

domenica 2 novembre 2008

Chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno

Giovanni 3,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».


Noi che abbiamo deciso di aderire al messaggio di Cristo e di far parte della sua Chiesa siamo un dono che il Padre ha dato al Figlio e come tale degni di essere risuscitati nell'ultimo giorno. Ma non basta solo ammetterlo con le parole e durante la recita del Credo, ma credere in Gesù Cristo è vivere per Lui, con Lui, e in Lui, uniformando la nostra condotta alla Sua e riuscendo nel grande comandamento dell'amore, verso il Padre e vorso i nostri fratelli. In questo giorno il pensiero corre e va dritto a tutti i nostri cari defunti, io penso ai tanti che hanno lasciato questa vita con l'amaro in bocca e con l'impossibilità di poter, magari, far pace con qualcuno o dire e sentirsi dire "ti voglio bene". Prego affinchè il Padre conservi loro un posto dove, un giono, poter riabbracciare e vivere per sempre, liberi dagli ostacoli della materia, insieme ai loro cari. Possano, i nostri defunti, essere ammessi a godere della luce del Volto di Cristo e pregarLo per noi che abbiamo tanto bisogno del Suo aiuto e della Sua guida