martedì 24 febbraio 2009

Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato. Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti

Marco 9,30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.

"Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato" e Lui incarna alla perfezione l'immagine del "grande" che si fa piccolo, e serve fino alla fine la volontà del Padre e quindi tutti noi aprendoci le porte per la salvezza eterna. Gli uomini lo uccideranno ma lui risorgerà, davvero è indispensabile morire alla legge degli uomini per risorgere? Credo davvero che sia l'unica strada per poter accedere al regno, è impossibile servire due padroni, occorre discernere attentamente i pro e i contro affinchè il nostro sacrificio e la nostra scelta non siano vani. Morire in Cristo significa accettare la propria miseria, abbandonare l'orgoglio e la presunzione che ci portano a considerarci grandi, e divenire, poi, servi, bambini. Solo riuscendo a purificare il nostro cuore si riesce ad identificare, e quindi percorrere, la strada che ci condurrà al "terzo giorno", quel giorno in cui la nostra scelta terrena si trasformerà in gloria eterna.

domenica 22 febbraio 2009

Il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra.

Marco 2,1-12
Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».


Gli scribi si trovano davvero spiazzati dinanzi alla figura di Gesù, quello che per loro era un semplice profeta, un guaritore, ora si mostra per quello che veramente è "chi può perdonare i peccati se non Dio solo?". Gesù, il figlio di Dio è venuto per guarire non solo i nostri corpi martoriati dalla sofferenza ma porterà sollievo alla nostra anima guarendola dalla dannazione eterna. Davanti al paralitico che necessariamente implorava la guarigione fisica, Gesù dapprima si prende cura della sua anima ponendo l’attenzione sulla grande missione che è chiamato a compiere: salvarci e ricondurci al Padre. E dinanzi al Padre non giungeremo con i nostri corpi mortali, là saremo anche noi trasfigurati e la nostra anima finalmente sarà libera dalla prigione quale è stato il corpo. Chiediamo al Signore di risanare le nostre ferite più oscure, quelle che pian piano lacerano la nostra anima e inesorabilmente la consumano. O Gesù prenditi cura della nostra salute fisica ma aiutaci a non dimenticarci di quell’anima che un giorno ritornerà a Te, fa che sia degna di contemplare il tuo volto.

sabato 21 febbraio 2009

Si trasfigurò davanti a loro

Marco 9,2-13
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!”. Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!”. E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti. E lo interrogarono: “Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?”. Egli rispose loro: “Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui”.
Sul monte tabor Pietro si rende conto di chi realmente è Gesù anche se rimane turbato e confuso ma comprende che un giorno potrà divenire una cosa sola con Cristo. Ecco perchè propone di sistemare solo tre tende, una per Mosè una per Elia e una per Gesù… e loro tre, Pietro, Giacomo e Giovanni, messi insieme in un unico corpo glorioso. Il regno dei cieli è davvero così ma è impossibile viverlo qui in terra, forse possiamo assaggiarne la prelibatezza ma in breve tempo la nostra natura umana ci chiama a vivere per quello che siamo: uomini tra gli uomini, figli di Dio in mezzo,spesso, alla malvagità assoluta. Non possiamo rimanere inerti in cima monte ma dobbiamo lottare giornalmente per guadagnare quel posto in prima fila da dove godere, poi, la visione eterna del suo volto! Gesù ordina di non dire a nessuno ciò che i tre discepoli hanno visto, non prima della risurrezione dalla morte, non prima cioè della grande manifestazione, il gesto grandioso che non lascerà nessun dubbio sulla vera natura di Cristo! Ciascuno di noi è chiamato a conoscerlo personalmente, senza basare la propria fede su quanto raccontato ma bensì su quanto di vero siamo riusciti a comprendere grazie alla sua immensa bontà! Mi domando se Gesù seleziona chi deve assistere alla sua trasfigurazione e quindi sceglie i fortunati, oppure riserva ad ognuno di noi una trasfigurazione? Credo che la seconda opzione sia la più probabile solo per il fatto che ognuno di noi ha un posto riservato nel regno dei cieli, se si crede in questo il cuore è pronto ad ammirare la trasfigurazione, ad assistere a questo evento che inevitabilmente cambierà il corso della vita e il senso stesso di essa... Scendiamo dal tabor anche se faticoso.. La speranza di ritrovare lui in cima ci spinga a non desistere mai, ma anzi a lottare per riuscire a compiere questa scalata e bearci in eterno nel suo splendore.

giovedì 19 febbraio 2009

Tu sei il Cristo. Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire

Marco 8,27-33
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la gente che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.



Gesù vuole a tutti i costi che il nostro sia un pensiero “secondo Dio” e non secondo gli uomini, perché solo pensando alla maniera di Dio è possibile maturare un’idea vera di Cristo e riuscire quindi a conoscerlo per quello che lui realmente è. Non si può conoscere Cristo per sentito dire e non si può avere una fede che si basa solo su precetti tramandati o su discorsi captati per aria. Conoscere Cristo significa viverlo intensamente e interamente nel cuore, conoscerlo è comprendere il suo mistero e non scandalizzarsi dinanzi a ciò che ha dovuto subire per la nostra salvezza. Certo le sofferenze fisiche di Gesù sono state atroci e considerarle dal punto di vista fisico è doveroso, ma non possiamo fermarci ad esse, dobbiamo necessariamente proseguire verso la risurrezione e verso il regno che ci è stato aperto con la grande chiave qual è stata la sua sofferenza e l’obbedienza. Seguendo questo percorso diventa meno complicato riconoscerlo e quando, giornalmente, lui ci domanda “chi dite che io sia” la nostra risposta può davvero essere sincera, non condizionata da pareri esterni ma dall’esperienza che abbiamo fatto intimamente contemplando la sua croce nella croce che ognuno ha sulle proprie spalle. Non scandalizziamoci, quindi, davanti alla sofferenza, non permettiamo a satana di compromettere questa sublime esperienza e di vedere il dolore solo come una condanna, una punizione: condividere il dolore di Cristo per condividere poi la sua gloria in eterno. “Lungi da me satana” perché vuoi farmi pensare come gli uomini.

domenica 15 febbraio 2009

La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato

Marco 1,40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Gesù odia la pubblicità! Non vuole che il lebbroso proferisca parola sulla guarigione operata in lui perché non deve essere il prodigio a far diffondere la sua fama ma tutto ciò che ne deriva dal prodigio stesso. Gesù comunica su un canale diverso da quello utilizzato da noi umani. La sua frequenza è trasmessa e captata solamente dal cuore, l’unico capace di andare oltre la fisicità delle cose e dei gesti. Gesù, infatti, guarda il cuore del lebbroso, ammira la sua fede, e ciò che lo porta a prostrarsi ai suoi piedi lo salva e lo guarisce. Che arma la nostra fede! E se pensassimo d’averla solo per la grande misericordia di Dio davvero non ci verrebbe mai in mente di gettarla o di trascurarla. Siamo convinti che tutto ci spetta di diritto e ringraziare diventa una misera prassi del galateo, figuriamoci se siamo in grado di ringraziare il Padre con la nostra stessa vita, per tutto quello che ci ha donato!! Eppure lui non ci abbandona e accoglie ogni nostro bisogno e malessere, facendosi carico delle nostre angosce e dei nostri mali perché non sa resistere ad un cuore contrito e pentito. Libera o Signore il mio cuore, mondalo cosi che io possa aprirlo totalmente all’ascolto della tua volontà.

mercoledì 11 febbraio 2009

Ciò che esce dall’uomo, questo contamina l’uomo


Marco 7,14-23
In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”. Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. E disse loro: “Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?”. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornificazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo”.

Questo passo oggi ci offre uno spunto davvero importante di riflessione e di introspezione che deve portarci necessariamente a compiere una seria analisi e capire cosa ci sta dentro al nostro cuore. Ho sempre ho sostenuto che un uomo non è dato o fatto dall’insieme delle cose che lo circondano ma è un entità a se che deve ben distinguersi da tutto il resto; e Gesù lo spiega “non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo”, spiega dove sta la contaminazione che può portarci a diventare cattivi perché in fondo lo siamo nel cuore. È vero che una situazione esterna potrebbe influenzare il nostro comportamento ma è altrettanto vero che se un cuore è realmente puro e convertito a Cristo nessun agente estraneo potrà mai colpirlo e ferirlo. Un concetto davvero importante che ci conforta nei moneti di crisi; quando viviamo in mezzo al caos e alla malvagità magari ci convinciamo che prima o poi anche noi potremmo finire per diventare “praticanti” del male, ma il condizionale deve riportare serenità nel nostra stato d’animo e confidare sempre nella forza, che ci viene data dalla Parola, di saper discernere il giusto da tutto ciò che è sbagliato e continuare a camminare, anche se controcorrente, in mezzo ad un mondo allo sfacelo. Non possiamo adeguarci, non dobbiamo, anzi siamo chiamati ad essere “lucerne accese” e portare testimonianza con le nostre opere, senza cadere mai nella paura d’essere contaminati ma certi di riuscire a sconfiggere questo virus che man mano sta divorando i cuori di molti. Non dobbiamo avere paura di vivere tra il male, siamo come la spiga che cresce tra la zizzania e si fortifica… che senso avrebbe vivere ed amare solo chi ci vuole bene? La vera battaglia sta proprio in questo, salvaguardare la nostra purezza e il nostro essere Figli di Dio, senza mostrare mai timore nei confronti di chi ci vorrebbe diversi, omologati: se difendiamo la nostra natura ammettiamo di amarla più di ogni altra cosa e quale miglior testimonianza c’è dell’amore che ci lega indissolubilmente?

martedì 10 febbraio 2009

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

Marco 7,1-13
Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame - quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E aggiungeva: «Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».


“… mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me”; cosa fa più scandalo le osservazioni dei farisei o questa profezia di Isaia che sembra perfettamente ambientata ai giorni nostri? Dopo duemila anni dovremmo avere chiaro in mente il vero progetto ed il vero senso della venuta di Cristo ma ancora oggi preferiamo eludere il senso e badare all’esteriorità con cuore freddo e sempre più distaccato. Siamo bravi, infatti, a condannare e sentenziare ergendoci a sommi giudici senza fissare minimamente l’occhio a quello che siamo noi in primis ed a come testimoniamo il Cristo che professiamo. Forse è vero che in fondo somigliamo molto a questi farisei perché ci sentiamo in pace con Dio se rispettiamo alla lettera i precetti “degli uomini” senza andare mai ad ispezionare il nostro cuore per vedere se veramente vi regna la pace nel suo interno, la Pace vera, quella che può venire soltanto da una perfetta comunione con Padre. Occorre abbandonare tutto ciò che di umano e fisico ci lega a Lui, anche se Lui stesso si è fatto uomo non significa che da uomo deve esser lodato, Dio nostro Padre non sa che farsene dei nostri tesori materiali, e dei nostri assurdi gesti meccanici, ha mandato suo Figlio per far pulizia, per annullare tutte le zavorre che ci tengono lontani e distanti; ha semplificato tutto perché mira semplicemente al cuore e a quella forza capace di amarlo più di ogni precetto e più di mille fredde preghiere. La nostra anima non ha precetti, ne mezze misure, ne maschere sotto le quali celarsi…O Signore infiamma il nostro cuore, non si spenga mai la fiamma…

sabato 7 febbraio 2009

Erano come pecore senza pastore

Marco 6,30-34
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’”. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Come sempre, anche stamane, arriva puntuale la risposta viva della Parola. Calza a pennello sul mio stato d'animo che non è per niente sereno..anzi mille pensieri vagano come mosche in una stanza destinate a morire spiattellate sulla superficie di un vetro; e così saranno questi miei pensieri, moriranno col freddo della ma impotenza. Di cosa avrei bisogno? Gesù oggi invita i discepoli in disparte, in un luogo solitario, hanno bisogno di riposare e chi non accetterebbe questo invito. Riposare è piacevole ma quello inteso dal Signore è ben diverso dal riposo che siamo abituati ad intendere noi; Lui non si abbandona su di un comodo divano ne invita a fare altrettanto, il riposo di Gesù è un momento di preghiera, un rigenerare l'anima, un ritrovarsi, rincontrare se stessi per scovare nel profondo del nostro cuore, la Sua presenza. Di questo c'è davvero bisogno, e il luogo solitario è il nostro "intimo", la dove siamo veramente soli, indifesi, la dove convergono paure e ansie, speranze e voglia di continuare, anche quando manca la speranza e siamo davvero stanchi! Signore aiutaci a saperci rialzare sempre.

venerdì 6 febbraio 2009

Grazie!

Ci sono stati giorni in cui credevo davvero di essere solo al mondo, giorni in cui non vedevo luce ne alcun colore che potesse tingere di allegria le mie giornate. Ci sono stati giorni senza via d’uscita come strade che d’un tratto perdono ogni sbocco diverso da un precipizio nero e infinito. Soffocato, sofferente e impotente davanti a quello che per me era diventato inevitabile anche se qualcosa in fondo al mio cuore rimaneva accesa, qualcosa che allora non riuscivo a comprendere ma che man mano si è fatta palese e chiara, grande e accecante… e non c’è precipizio senza appiglio, basta sapersi guardare attorno o forse saper scrutare a fondo ciò che abbiamo dentro perché è da li che parte la forza grazie alla quale i nostri occhi si accorgono del sostegno e le nostre mani si protendono per afferrare quella certezza che, come niente altra cosa, è capace di frenare ed arrestare la nostra caduta. La risalita sarà faticosa, senza dubbio, riportare su un corpo debilitato e provato non è facile, ma la consolazione d’esser stati salvati è grande quando, giunti in cima, lo sguardo di un amico sarà pronto a sorriderci e la sua voce chiara nel gridare: “io ti ho amato, io ti ho provato ed ora ti amo ancor più perché sei riuscito a comprendere il mio amore…salvandoti”

martedì 3 febbraio 2009

Fanciulla, io ti dico, àlzati

Marco 5,21-43
In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva”. Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. E all’istante le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi mi ha toccato il mantello?”. I discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?”. Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, continua solo ad aver fede!”. E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: “Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni.! Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
Due figure oggi si accavallano nel brano del vangelo, una donna e un padre che si affidano alla potenza di Gesù per vedere guariti i loro mali. Una cosa li accomuna, la forza della fede che li rende degni d’esser salvati, anche se è differente l’intensità di tale forza che addirittura nell’uomo a momenti sparisce dinanzi alla sfiducia della realtà dei fatti. La figlia è morta e, apparentemente, non c’è niente da fare e lui dimentica che “Nulla è impossibile a Dio”, ma Gesù glielo ricorda invitandolo a fare leva su quella forza che man mano sta scomparendo “Non temere, continua solo ad avere fede”. Quella fede che ha guarito l’emorragia della donna e quella fede che affiderà alle mani di Cristo il destino della bimba ridotta all’estremo.
Quando tutti ridono di noi e ci accusano di essere dei perdenti, illusi di trovare conforto nella speranza d’esser esauditi, quando tutti ci invitano a cambiare condotta per renderci realmente conto che questo mondo non è fatto per la speranza, è in quel momento che dobbiamo difendere come un grande tesoro, quale lo è realmente, la nostra fede, perché solo con la fede si potrà continuare a vivere nonostante tutto, nonostante le angosce, i dolori, gli affanni e le delusioni. Non credo ci sia al mondo consolazione paragonabile alla bontà di Cristo e alla sua misericordia. Tutto è fugace, qualunque cosa a cui facciamo riferimento per avere attimi di felicità prima o poi passa, solo Lui rimane in eterno e la sua consolazione non ha fine. O Signore aiutaci a pregare incessantemente affinchè la nostra fede sia forte e robusta, scudo contro i nemici e corazza con la quale affrontare il duro cammino della gloria.