giovedì 19 febbraio 2009

Tu sei il Cristo. Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire

Marco 8,27-33
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la gente che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.



Gesù vuole a tutti i costi che il nostro sia un pensiero “secondo Dio” e non secondo gli uomini, perché solo pensando alla maniera di Dio è possibile maturare un’idea vera di Cristo e riuscire quindi a conoscerlo per quello che lui realmente è. Non si può conoscere Cristo per sentito dire e non si può avere una fede che si basa solo su precetti tramandati o su discorsi captati per aria. Conoscere Cristo significa viverlo intensamente e interamente nel cuore, conoscerlo è comprendere il suo mistero e non scandalizzarsi dinanzi a ciò che ha dovuto subire per la nostra salvezza. Certo le sofferenze fisiche di Gesù sono state atroci e considerarle dal punto di vista fisico è doveroso, ma non possiamo fermarci ad esse, dobbiamo necessariamente proseguire verso la risurrezione e verso il regno che ci è stato aperto con la grande chiave qual è stata la sua sofferenza e l’obbedienza. Seguendo questo percorso diventa meno complicato riconoscerlo e quando, giornalmente, lui ci domanda “chi dite che io sia” la nostra risposta può davvero essere sincera, non condizionata da pareri esterni ma dall’esperienza che abbiamo fatto intimamente contemplando la sua croce nella croce che ognuno ha sulle proprie spalle. Non scandalizziamoci, quindi, davanti alla sofferenza, non permettiamo a satana di compromettere questa sublime esperienza e di vedere il dolore solo come una condanna, una punizione: condividere il dolore di Cristo per condividere poi la sua gloria in eterno. “Lungi da me satana” perché vuoi farmi pensare come gli uomini.

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