martedì 11 novembre 2008

Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare

Luca 17,7-10
In quel tempo, Gesù disse: "Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".


“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Si potrebbe benissimo invertire il senso di questa frase “Siamo servi utili, ma non riusciamo a compiere quanto dovuto” ed affermare esattamente ciò che siamo convinti di essere. Ed è proprio vero che nell’utilità che noi stessi ci riconosciamo poniamo il limite di ogni nostra opera e nel crederci perfetti seppelliamo ogni possibilità di migliorare e crescere. Ormai non può esistere l’antico rapporto che c’era tra padrone e servo, i tempi e i sentimenti sono cambiati e tutti ci sentiamo in diritto di chiedere e di esigere non riuscendo più nemmeno a servire noi stessi, figuriamoci chi ci sta accanto. L’umiltà è stata sommersa, e chi con fatica tenta di difenderla o di mantenerla nella propria condotta e nel vivere quotidiano è destinato ad essere schiacciato, emarginato perché ritenuto perdente in una società di grandi vincitori. L’essere servo viene concepito in modo del tutto errato, nessuno credo sogni mai di fare il servo perché tutti puntiamo a cariche ben più alte, accecati dal luccichio di false mete perdendo di vista la Meta più luminosa che possa esistere, tanto luminosa da non poter esser vista dagli occhi ma scrutabile solo col cuore, che se umile, riesce a guardare oltre ogni limite umano. L’umile vede tutto ciò, l’umile scruta la Luce e non si abbaglia perché comprende la sua intensità, la sua forza e sa come muoversi, sa come raggiungerla e accogliendola si sottomette, divenendo servo, inutile, mettendosi in gioco con la sua vita stessa e sacrificandola se necessario, senza vantare alcun diritto, memore del grande dovere di servire, rinnegando “l’empietà e i desideri mondani, e di vivere con sobrietà, giustizia e pietà” . Quella luce è Cristo che ci chiama quotidianamente a sottometterci a lui e divenire servi della sua causa senza mai ricercare nessun profitto ne gloria personale ed essere, si perdenti tra gli uomini, ma vincitori nel suo nome. L’essere stati scelti e chiamati è la grande consolazione, la gratificazione che ci deve spingere a cambiare necessariamente atteggiamento ed iniziare a “camminare per via integra” perché solo così si diventerà sui servitori. Molto facile a dirsi con le parole, come sempre la difficoltà sta nel convertire tutto nei fatti, nella vita che ciascuno di noi vive, egoisticamente e sempre alla ricerca di diritti, di interessi e di guadagno. Tutto per noi è mercato, barattiamo i sentimenti, le amicizie e quasi sempre, con spontaneità, con il baratto ci confrontiamo anche con il Padre. Così se Lui da qualcosa, noi siamo disposti ad offrire altrettanto e le stesse nostre opere finiscono per divenire merce di scambio, con un suo valore, un suo peso, e ben misurate a seconda di quanto offerto, opere che mai si diversificheranno dall’essere materiali. Ma davvero crediamo che Dio possa accontentarsi del nostro oro o del nostro denaro? Davvero siamo convinti che basta una carta di credito per acquistare un posto nella sua casa? Davvero chiediamo di possedere un degno contraccambio da schierare di fronte al Suo amore? “Non a prezzo di cose corruttibili, come oro e argento, siete stati salvati”, Il Padre si accontenta di qualcosa di più semplice, ma che per lui vale tanto, non sa che farsene dei nostri tesori perché aspira a possedere un tesoro molto più grande spesso ritenuto da noi senza valore, Lui vuole noi stessi! Vuole la nostra vita, ci vuole servi pronti a portare a compimento tutto il lavoro senza mai mormorare ma operando con la speranza di giungere un giorno alla Sua presenza e chiedergli, non una liquidazione o le ferie dovute, ma di sedere alla sua mensa ora che “Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Riconosciamoci profondamente debitori dinanzi al Signore, debitori di quell’amore che Lui ci ha donato con Cristo e che ci porterà a seguirlo ed inevitabilmente a servirlo amandolo; amare Cristo è servirlo perché nel riconoscerlo come dono del padre, come prezzo del nostro riscatto, si riconosce anche il suo essere servo, e nell’amare questa sua condizione si è disposti ad incarnarla e divenire noi stessi servi, dono di Dio ai nostri fratelli. Siamo servi inutili nella misura in cui chiediamo una ricompensa diversa da quella già preparata per noi da Colui che si è fatto servo e ci ha serviti fino alla morte in Croce, e siamo utili perché chiamati a costruire già in terra, con fatica, il regno che un giorno abiteremo non per i nostri meriti ma per la grazia e l’amore del Padre.

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