venerdì 13 marzo 2009

Avranno rispetto di mio figlio!

Matteo 21,33-43.45

In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?”. Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’’? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”. Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

Questa parabola assomiglia tanto a quella dei “talenti” perché narra di un padrone che lascia in custodia un bene per vederlo poi fruttificare e quindi raccoglierne i frutti. Le similitudini sono chiare anche se in una si parla di denari e in questa di una vigna è facile identificare, in questi beni materiali, la nostra stessa vita. La vita è un dono e non ci appartiene, ci è stata consegnata non per farne ciò che vogliamo ma per riconsegnarla, al momento opportuno, con il dovuto frutto, che il padrone reclamerà al momento della raccolta. E questo ci sfugge o almeno preferiamo nascondere questa evidenza e fare della vigna qualsiasi altra cosa tranne che farla fruttare per la gloria del padrone. Eppure è stato Lui ad affidarci questa responsabilità, quindi in cuor suo conosce le nostre possibilità e capacità, si fida di noi e sa bene che non cacceremo i suoi servi quando verranno a ritirare il raccolto… ma noi, essendo uomini, non facilmente riusciamo a staccarci dall’egoismo terreno ed ai suoi servi, ed ai fratelli che domandano aiuto, rispondiamo in modo errato “bastonandoli, uccidendoli, lapidandoli”. Il problema sta alla base e sarà difficile da risolvere perché la certezza d’essere gli unici detentori della verità e quindi di ogni potere su noi stessi non è facile da demolire, perché bisognerebbe dar spazio alla voce del Padrone, alla sua volontà, quindi ammettere che questo padrone vuole il meglio per noi; ci ha mandato persino il proprio figlio e noi che abbiamo fatto? “uccidiamolo e abbiamo noi l’eredità” non abbiamo compreso! Il figlio era venuto in mezzo a noi per condividere l’eredità stessa, per far conoscere la via da seguire e gustarla in eterno; non era venuto per impossessarsene perché lui stesso proviene da quella eredità! “L’amore non è amato” e se non crediamo all’amore del Padrone non riusciremo mai a rispondere con amore all’invito che ci fa quotidianamente. Se siamo nati significa che siamo stati reputati degni di tale dono e se ancora viviamo i nostri frutti sono visibili e graditi a Lui.

Nessun commento: