mercoledì 15 ottobre 2008

Maestro, dicendo questo, offendi anche noi

Luca 11,42-46
In quel tempo, Gesù disse: “Guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l’amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre. Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo”. Uno dei dottori della legge intervenne: “Maestro, dicendo questo, offendi anche noi”. Egli rispose: “Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!”.

“Maestro dicendo questo offendi anche noi”, siamo ipocriti anche davanti alla sua Parola ed invece di lasciarci edificare e plasmare prendiamo come un’offesa la sua verità e la sua capacità di mettere a nudo le nostre mancanze e i nostri difetti. Purtroppo occupare i primi posti delle “sinagoghe” ed avere i “saluti nelle piazze” molto spesso ci fa sentire i migliori, già mondi e quindi arrivati alla perfezione e alla santità, sviluppando in noi comportamenti errati che cozzano con l’essere veri testimoni. È impossibile sentirsi “completi” perché l’amore di Dio, la Sua sapienza non hanno confini mai quindi potrebbero essere racchiusi all’interno del nostro misero cuore, è un costante evolversi, una continua crescita, un cammino lungo da affrontare assolutamente con umiltà. Proprio l’umiltà è quella che manca a noi e il non ammettere d’essere peccatori e bisognosi di cure, ci rende come “sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo” perché non portiamo nel cuore il messaggio di Cristo, non siamo lucerne accese, ma siamo succubi della materialità e del concepire la fede come una sequenza meccanica di gesti, preghiere pre-stampate e di sorrisi accomodanti ma privi di sincerità. Credo che il Padre non ha che farsene delle nostre cantilene se ad esse non affianchiamo il nostro cuore e la nostra vita come doni da condividere. E’ triste ma è cosi! Se ancora ci scandalizziamo e ci sentiamo offesi dalla sua Parola non siamo realmente suoi Figli ma lo siamo per una conseguenza o perché siamo stati, oramai, battezzati vivendo il nostro essere cristiani come una cosa dovuta, un’etichetta che non occorre mai rimarcare ne rinnovare. Nella sua Parola non c’è scandalo, non c’è offesa ma un immenso amore che mira a cambiare le nostre coscienze, i nostri cuori e a renderci perfetti affinché ai nostri gesti corrisponda anche un cuore sincero e pienamente consapevole. “Guai a voi che trasgredite la giustizia e l’amore di Dio” bisogna mirare a cose più grandi della semplice apparenza, Il Padre conosce il nostro cuore e dinanzi a Lui non c’è falsità che tenga, smettiamola di mentire a noi stessi e di cercare approvazione tra gli uomini, occorre guadagnare la fiducia di Dio e piacere a Lui per essere testimonianza viva cosicché la gente non passi più sopra di noi senza saperlo ma si fermi a contemplare e glorificare la grandezza dell’amore di Dio. Questo brano di oggi mi da la risposta ai dubbi che, ieri, hanno invaso i miei pensieri. Sbaglierò ma sono contrario alla diffusione della Parola in modo edulcorato e accomodante, perché suscita in noi un adagiamento del tutto dannoso che addormenta, man mano la nostra sete e la nostra fame; la Parola deve scuoterci, saziare la fame e la sete senza sviluppare senso di assuefazione o di sazietà, deve farci svegliare ed attuare un vero cambiamento anche andando contro le nostre abitudini e aspirazioni: la Parola è un remo, robusto, che ci aiuta a navigare controcorrente diretti alla fonte di questo immenso Amore, lontani dalla foce e dall’oceano dell’indifferenza.

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