martedì 23 marzo 2010

Avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono

Giovanni 8,21-30

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?».
E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».
Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.






"Se non crederete che Io Sono morirete nei vostri peccati" Il peccato ci allontana da Dio quando ci impedisce di vedere e di credere in Colui che E'; non sono bastati la sua incarnazione, i suoi insegnamenti, la sua presenza per aprire gli occhi ad un popolo cieco, era necessario che si ripetesse il prodigio compiuto da Dio per mezzo di Mosè, perchè il popolo credesse alla grandezza di Cristo: innalzato sulla Croce, come il serpente di bronzo, per liberare chiunque volgesse lo sguardo a lui dalla morte e dal peccato, e avere accesso al Regno preparato dal Padre. Per comprendere la logica di tutto ciò e per accettare d’essere salvati e redenti occorre innanzitutto riconoscere il peccato, discernere accuratamente ciò che ci rende insensibili. Il peccato fa parte dell’uomo in quanto la debolezza che lo genera è parte integrante della sua natura ma se si riesce a compensarla con la grandezza di Dio, come a colmare una valle, questa fragilità può diventare forza; deve essere paragonato ai serpenti brucianti che colpirono gli Israeliti nel deserto, gran parte di essi morì appunto perché lontani da Dio continuarono ad esserlo, altri, invece andando da Mosè ritornarono a Dio ammettendo le loro colpe e riconoscendosi peccatori “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te”. E la supplica viene accolta come viene accolto un cuore contrito e pentito, e se dal serpente di bronzo innalzato sul bastone di Mosè gli Israeliti riebbero la vita, ancor più grande sarà per noi il premio se ci degniamo di volgere lo sguardo al “Figlio dell’Uomo innalzato”. Considerando il peccato come un “promemoria” sarà semplice ricordarci di che pasta siamo fatti così che la scelta tra la vita e la morte, tra “quaggiù e lassù” non ci colga titubanti ma al contrario sicuri di abbracciare la Croce con la speranza di convertire la nostra debolezza in forza, la nostra umiltà in gloria e la morte della carne in vita eterna. Siamo messi alla prova costantemente, punzecchiati ogni giorno affinchè purificati e pronti non venga mai meno la nostra fede e il bisogno d’essere redenti e giustificati. Credere in Cristo è credere al suo progetto e se non si vive in pieno nella carne come potremo, poi, pretenderlo per l’eternità?

Nessun commento: