venerdì 7 novembre 2008

I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce

Luca 16,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.

“I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” , i figli della luce hanno conosciuto la Luce, quella vera e come conseguenza hanno abbandonato tutto ciò che li legava al mondo, tutto ciò che di materiale li separava dalla vera Luce. L’amministratore si preoccupa del suo destino “ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione” evidentemente non ha fiducia del suo stesso padrone che, forse, voleva una semplice conversione, voleva che l’attività venisse liberata dagli interessi personali e ridimensionare la gestione degli averi. Noi come gestiamo il nostro patrimonio? Cosa facciamo del tesoro che il nostro Padrone ci ha affidato quando, con il battesimo, ci ha accolti nella sua “proprietà”? Lo sperperiamo, o ancor peggio non ci accorgiamo nemmeno di possedere una potenziale ricchezza. Siamo troppo impegnati a contare altro ed a calcolare altri interessi e non diamo importanza a ciò che effettivamente merita tutto il nostro interesse. “Essi hanno come Dio il loro ventre” S. Paolo lo ricorda ai Filippesi e lo ricorda anche a noi che abbiamo perso ogni fiducia verso quel Padrone, pronti ad accusarlo al primo tentativo di toglierci l’amministrazione,ignorando totalmente la bontà che sta dietro ogni sua azione. Lui ci ama e ci vuole salvi, vuole che il nostro operare sia leale a prescindere del nostro destino e ci vuole pronti nell’amare il prossimo e nel saper perdonare ogni debito senza ricercare nessun beneficio personale, ma a lode del suo Nome. Non dobbiamo avere paura nel ridare al Padrone la gestione dei nostri averi, occorre saper ammettere che non siamo possessori ma semplici usufruttuari, obbligati a curare ciò che abbiamo avuto in prestito ed a mettere in comunione e in condivisione con i fratelli ogni singolo grammo del nostro tesoro. La nostra vita è un dono e spesso nelle nostre mani perde questa peculiarità “tutti intenti alle cosa della terra” ci dimentichiamo totalmente della vocazione alla quale siamo stati chiamati e che ci è stata affidata donandoci alle futilità di ogni giorno. Ecco perché il Padrone ci richiama e ci invita a rendere conto della nostra amministrazione, Lui conosce ogni nostra mossa e sa cosa c’è dietro ogni nostra azione, non possiamo interpretare questo come mancanza di fiducia nei nostri confronti al contrario è una grande e immensa manifestazione d’Amore che vuole ricordare a ciascuno di noi ciò che siamo “buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio”. Lui si fida altrimenti non avrebbe affidato ma vuole che tutto si compia nel rispetto del grande comandamento dell’amore rendendo costantemente testimonianza uniformando ciò che siamo con ciò che proclamiamo. Mettiamo a disposizione di tutti la grazia che ci è stata donata dal Padre, deponiamo il nostro egoismo e la nostra disonestà per metterci al servizio di Dio servendo il prossimo: i figli della luce non sono scaltri perché per godere in eterno della Luce non occorre scavalcare nessuno ma al contrario incamminarsi insieme verso la “patria che è nei cieli”.

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