lunedì 29 marzo 2010

Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura

Giovanni 12,1-11

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali.
Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.
Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.
Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.


"Se non credete a me, credete almeno alle mie opere" L'opera è qualcosa di tangibile più facilmente identificabile ai nostri occhi, ma non occorre fermarsi mai a questa unica visione ed andare oltre per poter vivere con il cuore il Mistero del messaggio nascosto dentro l'opera stessa. Maria lo aveva ben compreso, sia la vera natura del Cristo sia la grande manifestazione della sua Gloria. Non esita a spendere ciò che di più prezioso ha, il profumo (il suo cuore) e prostrata ai piedi di Gesù, si fa serva di una grande causa, e il profumo di questa totale donazione a Dio invade tutta la stanza. Ecco l’importanza di un’opera fatta con il cuore, che vale più di tante “false contrizioni e preoccupazioni” che hanno il solo scopo di darci una scusante alla nostra pigrizia e malvagità! Dietro la pena di Giuda per i poveri si cela un grande tradimento, lui che non ha pena nel consegnare Cristo ai carnefici come può averne per i poveri? Ma per fortuna c’è Maria che oggi ci invita a donarsi senza misura alcuna; ad aprire il nostro cuore al Cristo che per noi non ha risparmiato niente della sua Persona e del Suo Essere: sacrificando la sua carne mortale e condividendo con noi la sua Gloria nel suo Regno.

sabato 27 marzo 2010

Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi

Giovanni 11,45-56

In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione».
Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli.
Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

La preoccupazione dei Giudei mi fa venire in mente la preoccupazione dello spirito immondo che disse a Gesù "sei venuto a rovinarci, cosa vuoi da noi"... è vero che Gesù è Novità, che è venuto a “portare la spada”, a cambiare i piani dell'uomo, ma solo perchè sta a cuore la salvezza dell'uomo stesso. Conosce molto bene lo stadio raggiunto dalla perversione dell'uomo, tanto da decidere di abbassarsi "personalmente" pur di vedere salva la sua creatura. Quale Amore più grande di questo? Eppure non si comprende ancora se c'è chi si ostina a non avere fede di fronte alla Croce. Ma Dio è paziente e misericordioso e riesce a convertire il male dell'uomo, di qualsiasi uomo per includere tutti nel suo grande progetto. I Giudei hanno paura di perdere il regno e decidono di eliminare Gesù per salvare la nazione, ma Caifa profetizza un'altra salvezza, più grande, celata dietro la Passione e Morte di Gesù. E' come se nella decisione dei Giudei ci sia già il perdono di Dio ancor prima che il peccato venisse compiuto, ignari del Regno e della Nazione che saranno chiamati a possedere e divenire. La morte di Gesù vista da due angolazioni diverse agli occhi del Padre come inizio di un tempo senza fine, agli occhi degli uomini come fine di un tempo che volevano non fosse mai iniziato. La voce dello spirito immondo è la voce di molti uomini che ancora disconoscono Cristo, vedendo nella Sua figura solo un ostacolo alla vita, al potere, al successo. In fondo Gesù non ha mai obbligato nessuno, ha lasciato liberi tutti di scegliere dinanzi alla Verità... con la certezza che una volta conosciuta è impossibile allontanarsi o proseguire per altre vie: non si può uccidere Gesù perchè ritenuto una minaccia per la nostra vita specialmente se si comprende che si è offerto, da sempre, come sacrificio di espiazione all'unica grande minaccia della nostra Vita, il peccato

venerdì 26 marzo 2010

Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.

Giovanni 10,31-42

In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.



...E Qui Rimase: nel luogo dove dimora Cristo dimora anche la verità, e un cuore che lo accoglie riesce anche a "viverlo" e riconoscerlo nella sua vera natura 'Figlio di Dio'. Questa definizione porterà Gesù alla condanna che affronterà allo scopo di rende reale questa definizione, palese davanti agli occhi di tutti, con le opere e con la perseveranza nella volontà del Padre. Il sacrificio è totale e non solo nella carne perchè è disposto anche ad annullarsi totalmente "anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre" per riunirsi a Colui che l'ha generato. La scrittura non può essere annullata così come il Padre non può essere sostituito dal Figlio ma entrambi, accompagnati dallo Spirito Santo, agiscono in comunione per la loro Gloria e la salvezza dell'uomo. L'errore che nel cuore compiono i Giudei (sostituirsi a Dio) li porta a vedere la stessa colpa in Cristo non riuscendo a leggere il grande messaggio che sta dietro ogni sua opera; un cuore lontano, duro, insensibile non può riuscire a guardare oltre; è necessaria una graduale conversione, la stessa che ha aperto gli occhi a chi, "al di là del Giordano" ha creduto alle parole di Giovanni e quindi alla Parola di Dio.

mercoledì 24 marzo 2010

Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.

Giovanni 8,31-42

In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro».
Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».

Un pò confusi questi Giudei, o meglio troppo sicuri del fatto che basta "essere figli di Abramo" per esser salvi. Che razza di cristiani siamo se al battesimo non accompagniamo le opere, continuando ad "uccidere" e non "accogliere" la Parola di Dio? La verità ci farà liberi e dove dimora questa verità se non nel Figlio? Chi meglio di Lui conosce il Padre e chi meglio di Lui la nostra miseria? Ci offre la sua immensa bontà intercedendo per noi e con la Croce ci ha offerto una rampa di lancio verso il Regno tanto sperato... e noi che facciamo? Ci rifiutiamo di amare e di compiere le opere del Padre tranquilli del fatto d’esser già mondi perché non "nati da prostituzione", anche se poi inconsciamente viviamo immersi nelle tenebre. La libertà sta nel riuscire a mettere ordine, tirando le somme, ricapitolando tutto, magari ai piedi della Croce: da li bisogna partire, come da una stazione, con i bagagli in mano, le cose migliori, e con la consapevolezza di lasciare per sempre ciò che ha appesantito la nostra esistenza. Non possiamo iniziare una nuova vita portandoci dietro cose vecchie o zavorre inutili; nella ricerca della Verità basta avventurarsi con il Cuore e con l'unica bussola che mai ci farà deviare, Cristo. Solo cosi saremo certi di giungere alla meta dovunque essa sia, liberi da ogni schiavitù, una cosa sola col Padre.

martedì 23 marzo 2010

Avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono

Giovanni 8,21-30

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?».
E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».
Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.






"Se non crederete che Io Sono morirete nei vostri peccati" Il peccato ci allontana da Dio quando ci impedisce di vedere e di credere in Colui che E'; non sono bastati la sua incarnazione, i suoi insegnamenti, la sua presenza per aprire gli occhi ad un popolo cieco, era necessario che si ripetesse il prodigio compiuto da Dio per mezzo di Mosè, perchè il popolo credesse alla grandezza di Cristo: innalzato sulla Croce, come il serpente di bronzo, per liberare chiunque volgesse lo sguardo a lui dalla morte e dal peccato, e avere accesso al Regno preparato dal Padre. Per comprendere la logica di tutto ciò e per accettare d’essere salvati e redenti occorre innanzitutto riconoscere il peccato, discernere accuratamente ciò che ci rende insensibili. Il peccato fa parte dell’uomo in quanto la debolezza che lo genera è parte integrante della sua natura ma se si riesce a compensarla con la grandezza di Dio, come a colmare una valle, questa fragilità può diventare forza; deve essere paragonato ai serpenti brucianti che colpirono gli Israeliti nel deserto, gran parte di essi morì appunto perché lontani da Dio continuarono ad esserlo, altri, invece andando da Mosè ritornarono a Dio ammettendo le loro colpe e riconoscendosi peccatori “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te”. E la supplica viene accolta come viene accolto un cuore contrito e pentito, e se dal serpente di bronzo innalzato sul bastone di Mosè gli Israeliti riebbero la vita, ancor più grande sarà per noi il premio se ci degniamo di volgere lo sguardo al “Figlio dell’Uomo innalzato”. Considerando il peccato come un “promemoria” sarà semplice ricordarci di che pasta siamo fatti così che la scelta tra la vita e la morte, tra “quaggiù e lassù” non ci colga titubanti ma al contrario sicuri di abbracciare la Croce con la speranza di convertire la nostra debolezza in forza, la nostra umiltà in gloria e la morte della carne in vita eterna. Siamo messi alla prova costantemente, punzecchiati ogni giorno affinchè purificati e pronti non venga mai meno la nostra fede e il bisogno d’essere redenti e giustificati. Credere in Cristo è credere al suo progetto e se non si vive in pieno nella carne come potremo, poi, pretenderlo per l’eternità?

domenica 21 marzo 2010

Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.

Giovanni 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».



Gesù è venuto a portare a compimento la legge! Oggi viene spiegato il senso di questa frase perchè nel condannare il peccato non ci sia alcun riferimento al peccatore; non per condannare gli uomini ma per cancellare il peccato, Cristo è salito in Croce. Si è lasciato accusare, oltraggiare, condannare da chi era accecato dalla legge per riscattarli una volta per tutti e rimettere nelle loro mani e nei loro cuori una "legge" nuova fatta in primis di misericordia e si amore. Eppure a distanza di anni da questo episodio viviamo ancora queste esperienze di "auto-assoluzione" o meglio di redenzione "faidate" basata solo sul valutare i peccati altrui. Siamo sempre migliori degli altri, non manca mai niente alla nostra persona, l'intelligenza, la superiorità però quando si tratta di peccato ben volentieri ci mettiamo per ultimi... chissà perchè! Nessuna umiltà, ne atto di contrizione e pentimento si cela dietro questo nostro gesto anzi un ergersi come "perfezione" incarnata, pronti a scagliare le nostre pietre contro chi ci sta accanto senza provare minimamente a " lanciare" una speranza, un aiuto. Siamo ciechi e non vedendo i nostri peccati non vediamo e non sentiamo nemmeno il bisogno d'esser mondati. Le prostitute e i peccatori ci precederanno nel regno dei cieli proprio per questo: per la consapevolezza che loro hanno d'essere tali e quindi bisognosi di misericordia e di perdono. Dinanzi al peso del peccato lasciamo agire la forza risanatrice del Signore che non condanna nessuno ma anzi mette ciascuno nella condizione di non peccare più. La nostra condotta va valutata non paragonandola a quella degli altri ma all’unica Condotta di Vita, Gesù Cristo.

sabato 20 marzo 2010

Il Cristo viene forse dalla Galilea?

Giovanni 7,40-53

In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui.
Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!».
Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.


Quello che mi colpisce di questo brano è la reazione delle guardie messa a confronto con quella dei capi e dei farisei. L'errore che facciamo spesso, infatti, è quello di condannare a priori senza aver prima conosciuto, saputo, indagato; ci basiamo solo su preconcetti "la legge" che ormai come schiavi ci opprimono. Non sappiamo andare oltre al colore della pelle, a tutto ciò che è diverso da noi e dal nostro modo di vedere le cose: siamo limitati alla sola realtà fisica. Le guardie invece, come Nicodemo, riescono ad andare oltre la legge e riescono a scorgere una diversa interpretazione di quell'uomo che tanti dissensi provocava tra di loro. L'unica provenienza che conta è quella che lo vuole Figlio del Padre, ed è la provenienza che sfida ogni legge completandola affinchè nessuno sia più schiavo del proprio corpo ma libero con l'anima già da ora, da questa vita che viviamo, proiettata verso ciò che saremo. Non lasciamoci ingannare ne dalle apparenze ma nemmeno dalle nostre convinzioni, sforziamoci di analizzare, di pensare e sviluppare una sana e pura voglia di Amare a prescindere da tutto tranne che dall'unica certezza: Dio Amore.

mercoledì 17 marzo 2010

Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole

Giovanni 5,17-30

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.
Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.


Da me, io non posso fare nulla! Ben due volte Gesù ripete questa frase che poi è una verità, la verità che deve farsi strada nei nostri cuori per iniziare un serio cammino di conversione. La usa all'inizio del discorso e alla fine come a "racchiudere" tutto ciò che egli è nelle mani del Padre. Fare la volontà del Padre è rimettere tutto nelle mani del Padre e comprendere la miseria della natura umana schiacciata dalla potenza della gloria futura, quella gloria che il Padre ha condiviso col Figlio e con chiunque sia pronto a ricevere "l'adozione a figli".

domenica 14 marzo 2010

Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.

Luca 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il! Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vit! a, era perduto ed è stato ritrovato”».

Tante volte parliamo di misericordia di Dio pur senza soffermarci minimamente nella comprensione di essa. E' vero che non occorre meditarla e che necessariamente va vissuta per capirla e "toccarla". Nella prosperità e nella fortuna la si scambia facilmente per l'abbondanza che ci circonda ma la Misericordia è ben altro e molto spesso occorre passare per una stretta via per riuscire a scorgerne la Luce. Il figlio giovane parte e lascia la casa del padre convinto di portarsi via tutto l'amore del padre convertito in eredità e in beni; invece si rende conto che l'Amore stà in un altro luogo e in ben altre circostanze, ma è dovuto sprofondare nella miseria per comprendere ciò che realmente è ogni essere vivente che si allontana dalla Via. L'Amore non prende in considerazione niente quando gli si presenta un cuore affranto e pentito; non prova risentimento o gelosia, come quella del fratello maggiore, perchè l'Amore e Puro e cerca solo chi è capace di amarlo. Gioisce quando ritrova la pecora smarrita perchè vuole che nessuno dei suoi "figli" perisca. Il perdono non va negato a nessuno ancor più il perdono di Cristo è per chiunque sia disposto a chiederlo con cuore sincero; non si creda mai d'essere indegni di ricevere misericordia come anche d'essere già pienamente giustificati. Siamo tutti in cammino per la medesima via, con gli stessi mezzi: un corpo fatto di carne, di peccato ma di un'anima pronta a splendere della Luce che si incontrerà perseverando per la Via di Verità...Cristo.

mercoledì 10 marzo 2010

Chi insegnerà e osserverà i precetti, sarà considerato grande nel regno dei cieli

Matteo 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».



L'insegnamento prevede l'osservanza dei precetti appunto perchè non di "insegnamento", basato sui concetti, si tratta ma di testimonianza vera che quindi diventa insegnamento per chi ci sta accanto. La precisazione fatta da Gesù è d'obbligo, dopo il suo "debutto" è chiara la linea di cambiamento intrapresa e non sempre il cambiamento viene visto come continuità o compimento, anzi spesso è interpretato come annullamento di tutto ciò che è stato. Dio non può rinnegare se stesso si può pensare che nella storia dell'uomo abbia potuto agire in maniera errata. Tutto ciò che Dio compie lo fa spinto dall'Amore e dalla Misericordia nel pieno rispetto degli "accordi" stipulati con i padri in passato. In quest'ottica Gesù porta a compimento la legge che oramai stava per accecare totalmente il suo popolo. Nella Croce c'è il pieno compimento annunciato da Gesù stesso, e nella Croce che il sacrificio d'amore viene consumato affinché dello stesso amore continuasse a vivere il popolo di Dio. S. Agostino diceva "ama e fa ciò che vuoi" nell'amore verso Dio e verso il prossimo trova compimento la legge lasciando a noi il compito di discernere ciò che è giusto da ciò che non lo è, la scelta di essere innalzati o umiliati nel Regno dei Cieli.

martedì 9 marzo 2010

Se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello, il Padre non vi perdonerà.

Matteo 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».


Ma allora davvero c'è un limite a tutto? Quando perdiamo la pazienza e perdonare qualcuno ci viene davvero difficile lo pensiamo seriamente d'aver raggiunto quel limite "lecito". Anche Gesù "infinito" sembra dare un fine anche se prolunga le occasioni: Non sette ma settanta volte sette; un numero, se pur alto, sempre destinato a finire. Occorre quindi cercare bene e scovare dove sta, nel brano di oggi, il riferimento all'Eternità, parola chiave e senso stesso della Parola. Concedere il perdono è uno sforzo mai fine a se stesso o buono soltanto a mettere in pace la nostra coscienza e i nostri rimorsi, il perdono è comprensione, è mettere l'altro in condizione di capire e vedere l'errore; e quando ad un torto noi rispondiamo con il perdono e con l'amore lanciamo un messaggio, se pur indiretto, a colui che ci ha colpiti, mettendolo a conoscenza di un'altra realtà, l'Eternità, ben più grande di quella che ha vissuto fino ad allora, fatta di invidia, voglia di supremazia e di potere. Noi che siamo i forti dobbiamo soccorrere i deboli e non vi è soccorso migliore del far conoscere la salvezza a chi oramai ha intrapreso altre vie. " E' un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé"... se domandiamo comprensione dobbiamo essere in grado di donarla per primi anche a costo di chinare il capo e perdonare. Se ciò non avviene la prima volta, se non riceviamo da subito ciò che noi abbiamo donato non dobbiamo perderci d'animo e perseverare: sono sicuro che prima delle "490" volte avremo ciò per cui abbiamo sperato. "Con la misura con la quale misurate sarete misurati" ed è facile far riferimento alla misura che utilizziamo con chi ci vuole bene, esercitiamoci a misurare chi ci odia...chissà che prima o poi si converta all'Amore!

domenica 7 marzo 2010

Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Luca 13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».



L'idea contorta che Dio mandi al mondo la sofferenza come punizione è ancora viva, anzi credo ancor più viva nei cuori di chi stenta a comprendere. Occorre ammettere che al mondo, innanzitutto, non esistono peccatori meritevoli d'ira ed altri meno ma allo stesso modo hanno peccato anche se cambia la natura del peccato, ecco quindi che "quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei" tutti in egual modo abbiamo peccato e tutti quindi meriteremmo la morte. Per fortuna, anzi per grazia di Dio, non è così che funzionano le cose e basterebbe davvero poco, volgere, come sempre, lo sguardo a quel pezzo di legno per il quale oggi combattiamo guerre ideologiche ma che in fondo osserviamo con totale distacco: la Croce. Ancora una volta Essa ci da la risposta e come sempre la via; l'amore del Padre verso il Figlio è un amore immenso e incalcolabile eppure ha lasciato che morisse e che patisse ogni sorta di pena: la sofferenza quindi è un atto di amore? Si che lo è, anche se sembra impossibile da accettare, dietro la sofferenza c'è sempre qualcosa di più grande, dietro il sacrificio della carne c'è sempre una ricompensa per lo spirito e se non si è in grado di produrre frutti con la carne, con le azioni significa che lo spirito è sterile, come il fico, distaccato totalmente dall'Albero della vita che da la vita. Va tagliato qualsiasi cosa che non produce frutto anche se indirettamente scegliamo noi stessi se perire o vivere. L'unica condanna viene da noi e non da Dio che vuole solo il meglio per noi e da noi. La pazienza del vignaiolo è la pazienza del Figlio che con un grido ha elevato la preghiera per noi poveri incoscienti "perdonali, non sanno quello che fanno".... lasciali ancora, finchè avrò zappato e concimato vedremo se porteranno frutti, vedremo se aderiranno al progetto di salvezza con la conversione dei loro cuori, oppure continueranno per la loro strada verso il baratro della morte.

mercoledì 3 marzo 2010

Lo condanneranno a morte

Matteo 20,17-28

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».


Il calice al quale fa riferimento Gesù è l'offerta che lui stesso sta per portare a compimento sulla Croce. All'annuncio della passione e morte è inevitabile avvertire un senso di smarrimento, ed ecco che la madre di Giacomo e Giovanni, così come gli altri dieci, ha una reazione che merita l'ammonizione di Gesù. C'è da considerare il fatto che egli "indossa" la veste dell'uomo e come tale non sta a lui concedere nel senso che all'uomo è data la libertà di chiedere ma a Dio la grande misericordia di concedere. L'uomo deve limitarsi a bere il calice e scoprirne il vero gusto, il vero significato. Non siamo capaci di gustare perchè impauriti dall'amaro della sofferenza, e chiediamo continuamente di tenere lontano da noi questo calice, come Gesù nel Getsemani, non curandoci minimamente della Volontà di Dio, di Colui che solo può "concedere" e disporre della nostra vita. Noi non sappiamo ciò che chiediamo, perchè non viviamo già da ora ciò che sogniamo di vivere in eterno, senza la misericordia verso i fratelli, senza la carità, senza l'umiliazione, senza il servizio, come possiamo pretendere d'essere innalzati nella Gloria? Signore sia la tua volontà e non la nostra!