martedì 31 marzo 2009

Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono

Giovanni 8,21-30
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire”. Dicevano allora i Giudei: “Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?”. E diceva loro: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”. Gli dissero allora: “Tu chi sei?”. Gesù disse loro: “Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui”. Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite”. A queste sue parole, molti credettero in lui.
"se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati"... sembra non dare scampo Gesù, ma in fondo ha ragione ad usare tanta durezza. La cecità e l'ostinazione a voler proseguire nonostante l'Incontro lo portano a fare riferimento all'ultima "arma" che farà cambiare idea ai tanti che non credono. "Quando avrete innalzato... allora saprete che Io Sono" ed occorre davvero aspettare la croce per comprendere e capire che abbiamo crocifisso il nostro Salvatore. Il mio pensiero corre al ladrone, perchè alla durezza del brano di oggi, la sua esperienza, al contrario, ci mette dinanzi l'immensa misericordia di Dio che l'accoglie all'istante nella sua casa.. "Dove vado io voi non potete venire" perchè lasciate ancora i vostri cuori ancorati alla materialità e all'egoismo, ma se sarete disposti a convertire la vostra vita e i vostri cuori stessi vi dico "che da oggi sarete con me in Paradiso". Come si fa a resistere a tanto Amore?

domenica 29 marzo 2009

Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto


Giovanni 12,20-33
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire
Avevamo sentito raccontare, da Gesù, in un'altra parabola, di come il chicco di grano muta il suo evolversi a seconda del terreno sul quale viene gettato. Questo chicco doveva sopravvivere, ai rovi, alle pietre, al vento e quindi crescere per germogliare. Oggi invece si parla di morte, come condizione essenziale per poter, poi, portare frutto. Un controsenso quasi, o almeno è quello che ho provato leggendo frettolosamente. Rileggendo, però, ho capito a quale morte si faccia riferimento: in chicco se rimane tale non porta frutto, deve morire, mutare la sua natura e da chicco divenire germoglio, frutto. Odiare la propria vita nel senso di essere disposti a mutarla, a modificare la nostra condotta e seguire Cristo. Ed è difficile staccarsi dall'amore morboso che ci lega ad essa; possederla ci da il diritto di governarla dimenticando che non di possesso si tratta ma di custodia, e siamo chiamati ogni giorno a morire coraggiosamente per vivere nella gloria. Il turbamento è tanto, anche Gesù lo prova, ma proprio questo turbamento che ci spinge sempre più a rifugiarsi nelle braccia del Padre, anche quando diciamo "salvami da quest'ora" siamo vicini al Padre perchè riconosciamo che è un'ora non voluta da noi, non pensata dalla nostra mente, non desiderata ma pienamente accettata per Sua volontà. E' consolante sapere che il turbamento non ci allontanerà, così come la prova, la tribolazione, e il peccato, anzi in virtù di queste esperienze e del saperle individuare e vincerle un giorno saremo accanto a Colui che abbiamo servito senza paura alcuna: "e dove sono io, là sarà anche il mio servitore".

sabato 28 marzo 2009

Le Prigioni

Che grande prigione è la nostra vita! Come sbarre le sue giornate ci legano al meccanico svolgersi di situazioni e di eventi incatenando totalmente la nostra libertà, la capacità di volare. Povera anima soffocata, povera anima intrappolata, povera anima disperata che in lacrime elemosina un d'aria, un momento per riflettere, pensare, amare! Ci sono prigioni ben più terrificanti di quelle che ben conosciamo perchè sono a noi sconosciute pur vivendoci dentro... riuscirò mai a liberarmi? riuscirò mai a pagare questa cauzione e librare sereno nel cielo dei miei pensieri? Se la libertà, voluta, è davvero desiderata prima o poi arriverà, perchè se la speranza non si spegne nemmeno dietro le gelide porte di un carcere è una speranza infiammata d'Amore inenstinguibile, quell'amore che fonderà ogni lega ed ogni legame e ci renderà veramente Liberi.

venerdì 27 marzo 2009

Inno alla Carità

1Corinzi 13,1-13
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!
La nostra conoscenza è imperfetta così come la nostra capacità di profetare ed immaginare; sono destinate a perire all’incontro della Perfezione perché non hanno nessun legame con essa, così come dovrà perire il nostro corpo, che pur essendo stato creato dalla Perfezione, non è perfezione ma “somigliante” e può aspirare alla perfezione.
Se dovrà esserci questo incontro, questa unione, significa che già da ora possediamo quel pezzo da incastonare, essendo noi stessi questo pezzo? Si che lo possediamo, e abbiamo la condizione per esserlo anche se preferiamo vivere nell’imperfezione della materialità e della fisicità, vissuti solo come ostacolo e mai come mezzo. In noi è presente la Perfezione ma non la vediamo perché ne abbiamo una concezione e un immagine che non va oltre i nostri sensi. La Perfezione che è in noi si chiama Carità, una virtù che si compiace della Verità perché nella carità dimora la verità e non avrà mai fine, neanche “quando verrà ciò che è perfetto” perché sarà, proprio questo incontro, il momento della gloria in eterno.
È difficile comprenderla e viverla, non tutti siamo in grado di “vivere la carità” non tutti abbiamo il dono di saper riuscire a sondare il nostro intimo, di spogliarlo e di renderlo a Colui che tutto può, alla Fonte di ogni carità e sapienza. È estremamente difficile essere pazienti, benigni, non invidiosi, vanagloriosi, egoisti, ed indifferenti dinanzi al male ricevuto quando invece tutto ciò che ci sta intorno e il nostro rapportarci con i fratelli suscitano, in noi, reazioni opposte. Ma dal suscitare al provocare ci sta di mezzo il nostro essere, il nostro cuore e il nostro modo di vedere la Verità, di riconoscerla, e di compiacersi nella sua totale pienezza. Ecco perché la carità tutto copre, tutto spera, tutto crede e tutto sopporta, perché è intimamente generata dal “Tutto” ed attende di unirsi indissolubilmente al nostro niente e dare vita alla perfezione d’amore voluta dal Padre e attuata dal Figlio inchiodato alla croce.
Con la carità noi amiamo e quindi crediamo, e con la carità alimentiamo costantemente la speranza di giungere a destinazione: coronare questo Amore in eterno.

Cercavano di arrestare Gesù, ma non era ancora venuta la sua ora

Giovanni 7,1-2.10.25-30
In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne. Andati i suoi fratelli alla festa, vi andò anche lui; non apertamente però, di nascosto. Alcuni di Gerusalemme dicevano: “Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia”. Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: “Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato”. Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora.
Leggendo il passo della Sapienza ho compreso meglio l’odio e il rancore che i Giudei provano per Gesù. Loro vedono Cristo dal solo lato fisico e si preoccupano di identificarlo e di dargli una provenienza non riuscendo a ricavare, dalle sue parole e dai suoi gesti nient’altro che “una condanna” senza riuscire ad andare oltre e scorgere, dietro la morte dell’uomo vecchio, la grande e vera rinascita. Chi di noi non prova invidia verso qualcuno che è migliore di noi, ed invece di provare ammirazione e di provare ad avvicinarsi alla sua condotta ed alla sua strada, la rabbia esplode in noi, perché quest’esempio ci mette nudi dinanzi alle nostre “immondezze” e facciamo di tutto pur di smontare la questa perfezione, di trovare un neo in tanta armonia; ma ciò che rende saggi, puri, e veri non potrà mai essere colpito perché nella grazia d’esser giusti c’è la consapevolezza e la certezza d’esser figli di Dio “il giusto è figlio di Dio” e di essere un nulla se privati dell’unione col Padre “io non sono venuto da me”. La paura e il timore di non riuscire non hanno, quindi, modo di esistere perché sappiamo già da ora che Lui ci assisterà e ci accompagnerà soprattutto nelle angosce e nelle tribolazioni sopportate in nome Suo; non possiamo farci abbattere ne frenare, la corsa deve essere sostenuta con passi certi e saldi, sicuri in quell’Amore che ci da la forza di essere,di volere e di potere “tutto posso in Colui che mi da forza”.

martedì 24 marzo 2009

Sull’istante quell’uomo guarì

Giovanni 5,1-3.5-16

Era un giorno di festa per i Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Vi è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzata, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: “Vuoi guarire?”. Gli rispose il malato: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me”. Gesù gli disse: “Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: “È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio”. Ma egli rispose loro: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina”. Gli chiesero allora: “Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?”. Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

“….perché non ti abbia ad accadere di peggio” perché è differente la sorte di chi vive totalmente lontano da Dio e chi, invece, decide di stare lontano dopo averlo incontrato. “Pur vedendo la luce hanno preferito le tenebre” ed è nelle tenebre che troveranno dimora quando la loro vita terrena sarà giunta alla fine. In questo passo del Vangelo mi piace assaporare la Speranza che viene trattata quasi in modo velato. E la speranza del paralitico trentottenne che, forse ormai privo di ogni speranza, viene sanato all’improvviso da un “guaritore” che, per lui, trasgredisce ogni regola anche quella del sabato. Ed è questa la speranza che ci deve spingere a non abbandonare mai la nostra causa e certezza di poter essere guariti e visitati. Gesù passa costantemente per le strade della nostra vita, siamo noi che accasciati sui dolori e le ansie non riusciamo a scorgerlo. Fermiamoci un po’, alziamo la testa e spalanchiamo gli occhi dinanzi a tanto Amore e Misericordia. Anche quando siamo giunti proprio in basso e sembra che nessuno mai potrà darci una mano per raggiungere “la piscina”, la guarigione, è soprattutto in questi momenti che dobbiamo rivolgere il nostro sguardo a Colui che tutto può perchè più di ogni altro essere è caduto in basso per essere poi innalzato al di sopra di ogni creatura. Consideriamo la sofferenza un privilegio ed anche quando saremo guariti non dimentichiamoci mai di essa ma anzi portiamo costantemente il suo ricordo “porta con te il tuo lettuccio” affinchè dalla consapevolezza d’esser stati salvati troviamo la forza necessaria per non ritornare più sui nostri passi “non peccare più” e gustare in pieno la guarigione ed i suoi frutti.

lunedì 23 marzo 2009

Va’, tuo figlio vive

Giovanni 4,43-54

In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Ma il funzionario del re insistette: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli risponde: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù! ; gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.

Il nostro cuore non resiste più quando sente che Cristo è disposto a Scendere per servire la nostra causa, la nostra sofferenza. Siamo convinti che Lui sia distante da noi e dai nostri problemi ma quando ci da testimonianza vera che ci è sempre a fianco costantemente, non resistiamo più e il nostro amore si fa intenso e si stringe in un legame indissolubile. "Credette lui con tutta la famiglia" spesso è vero che occorre un segno forte perchè siamo impossibilitati nel vedere oltre la punta del nostro naso, non vogliamo sforzarci preferendo tenere chiusi gli occhi della nostra anima. Chiediamo a Gesù di aprire questi nostri occhi e di divenire certezza nella nostra vita.

domenica 22 marzo 2009

Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui

Giovanni 3,14-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

E' come se avvicinandosi sempre più all'esperienza di Cristo tutto ciò che di noi è stato tenuto all'oscuro pian piano viene a galla perchè nel confrontarsi con l'immensa misericordia del Padre non si può più continuare ad essere "uomini vecchi"... "E' ora di svegliarci dal sonno e di buttare via le opere delle tenebre" e quest'ora è stata segnata dalla Croce dal momento in cui il figlio di Dio ha sconfitto la morte ed il peccato e ci ha aperto il varco per giungere alla gloria eterna. Non ci sono scorciatoie ne vie preferenziali "nessuno arriva al Padre se non tramite il Figlio" perchè nell'incarnazione del figlio ci sta la testimonianza vera e viva che non è impossibile seguire la volontà di Dio e vivere secondo la sua grazia; non possiamo continuare a nasconderci dietro la presunta debolezza umana ma occorre rivalutare questa debolezza e convertirla in potenziale forza. Non abbiamo paura di andare verso la luce anche se fino a questo momento siamo vissuti nelle tenebre più cupe, Dio ha misericordia e gioisce anche per una singola pecorella che ritorna dal pastore, che ritorna alla luce. Siamo stati battezzati sotto questa luce e allora perchè non dobbiamo vivere seguendo i suoi riflessi?

sabato 21 marzo 2009

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo

Luca 18,9-14 -
In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

Io credo che il fatto stesso di ritenerci giusti sia sintomo di non esserlo! Perchè non abbiamo la facoltà per deciderlo ne il metro giusto per valutarlo. E' un errore valutare la nostra condotta equiparandola a quella degli altri fratelli perchè a ciascuno di noi è stato dato diversamente e diversamente siamo chiamati a restituire. Il pubblicano parte da una posizione più alta rispetto al fariseo: la consapevolezza di ciò che si è. Ed è estremamente difficile riuscire a spogliarsi di tutto ed accettare la miseria della nostra natura. Non bastano digiuni e penitenze se non pratichiamo l'unica grande opera, quella che va compiuta quotidianamente ed intimamente nel cuore: "O Dio, abbi pietà di me peccatore"...."uno spirito contrito è sacrificio a Dio... allora gradirai i sacrifici prescritti, gli olocausti..." l'esteriorità viene sempre dopo e deve avere come base un'interiorità; fermiamoci ed almeno in quaresima iniziamo a difendere, coltivare e preservare il nostro intimo come arma da sfruttare per unirci a Lui.

venerdì 20 marzo 2009

Quando sono debole, allora sono forte

Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.
(2Cor 12,9-10)

Nella comprensione della nostra debolezza c'è la conoscenza e l'accettazione della perfezione di Dio. Queste due nature apparentemente distanti sono segretamente vicine, legate, perchè così è stato deciso dal Padre stesso e nel loro intimo rapporto c'è un continuo scambio e un costante riciclo: la debolezza convertita in sapienza e misericordia. Si dice che la perfezione non si addice a noi umani ma soltanto a Dio ma non possiamo dimenticare che Lui stesso ha deciso di condividere la sua perfezione, la sua divinità, e di mettere in condizione, chiunque lo voglia, di aderire alla sua Verità, quasi come una fusione "non sono più io che vico ma Cristo che vive in me". Se consideriamo tutto ciò ogni nostra scusante non ha motivo d'esistere perchè nulla potrà mai ostacolare questa unione, solo la nostra volontà molto spesso animata dall'egoismo che ci porta a ricercare in ogni occasione e circostanza ciò che fa comodo. E così all'unione con Dio preferiamo nettamente la sostituzione con Dio ergendo il nostro Io come grande divinità da contemplare e glorificare. La debolezza fa largo all'arroganza che s'impone con la sua forza e la sua sete di sopraffazione quando invece si dovrebbe custodire gelosamente quella debolezza che sarà una solida base sulla quale costruire una nuova vita, un nuovo otre da riempire con la forza di Dio "quando sono debole, allora sono forte".

mercoledì 18 marzo 2009

Chi osserverà e insegnerà i precetti sarà considerato grande nel regno dei cieli

Matteo 5,17-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.

“Non sono venuto per abolire ma per dare compimento”, è chiara, in questa frase, la direzione e lo scopo stesso della missione di Gesù. Lui, l’innovatore per eccellenza, viene in mezzo agli uomini per movimentare la loro vita, per scuotere la loro coscienza e per dare una nuova dimensione al modo di rapportarsi con Dio. Non abolisce i precetti esistenti ne aggiunge ad essi altri ma semplicemente è venuto a dare un’impronta umana a tutte quelle leggi praticate meccanicamente e senza il minimo coinvolgimento del cuore: non occorre adempiere le regole alla lettera ma è indispensabile viverle costantemente non più con freddezza ma con la consapevolezza d’essere figli di quel Dio che da padrone diventa Padre, e da Padre è pronto a servire noi suoi figli con Gesù Cristo. Allora mi chiedo perché tanta paura? Perché questo timore ad accogliere Cristo nella nostra vita? Perché tutta questa ostilità verso la sua Parola e verso la sua volontà? Lo dice chiaramente che non irrompe sulle nostre esistenze per abolirle ma per portarle a compimento! Noi non ci domandiamo mai in che modo viviamo o che meta ci siamo preposti nella nostra vita perché l’importante è vivere, magari alla giornata, senza tante preoccupazioni ne illusioni, spegnendo definitivamente quella Speranza che ci dovrebbe proiettare in un vita diversa da quella che conduciamo all’interno dei nostri miseri corpi. Il compimento inteso da Gesù è la vita eterna, perché completare la legge significa spalancarci le porte e indicarci la via per accedervi, e Cristo stesso ci insegna che senza la croce è impossibile varcare la soglia della gloria senza fine. Occorre abbandonarsi “come bimbo svezzato in braccio a sua madre” nella mani del Padre che tramite il Figlio opera in noi il compimento che ha in serbo per noi. Anche quando la vita frenetica ci soffoca e sembra far perire ogni speranza, non deve mai spegnersi quella fiamma che arde, ed anzi, occorre alimentarla costantemente con l’ossigeno puro della preghiera affinchè l’incendio possa distruggere le sterpaglie e dare spazio ai germogli tanto attesi.

martedì 17 marzo 2009

Se non perdonerete di cuore al vostro fratello, il Padre non vi perdonerà

Matteo 18,21-35
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”.

“Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito”, la pazienza e la misericordia sono sempre e solo richieste e mai, o raramente, prendono la direzione opposta perché siamo bravi a pretendere e non a dare. La parabola di oggi mi ricorda una bella regola “con la misura con la quale misurate sarete misurati” però mi piace trasformare l’ordine di queste parole e quindi il senso stesso della frase “con la misura con la quale siete misurati voi misurate” e parlo di rapporto tra fratelli e quindi del nostro limite di rispondere ad un sentimento con il medesimo sentimento, mai uno slancio più alto mai un’iniziativa diversa, mai un’opera di mortificazione che permettesse di convertire, magari, il male in bene. Avere misericordia di un fratello è difficile e come il servo, perdonato dal padrone, ci dimentichiamo di ciò che siamo noi e puntiamo il dito verso chi sbaglia e magari commette i nostri stessi sbagli. Riconoscerci tutti nella stessa situazione, tutti servi, tutti figli, tutti peccatori, deve essere la base per iniziare un lavoro di ridimensionamento per costruire un corretto modo di rapportarci e per riconoscere nel rapporto d’amore che il Padre ha con ciascuno di noi, lo stesso rapporto che ognuno di noi deve avere con il proprio fratello. “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” la misericordia di Dio, se si riesce a gustarla la si deve, per forza, rimettere in circolo, solo così si diventa parte viva del progetto di salvezza, tralci fecondi della stessa vite ed avere la certezza che i nostri talenti non saranno sprecati ma restituiti con il giusto frutto.

venerdì 13 marzo 2009

Avranno rispetto di mio figlio!

Matteo 21,33-43.45

In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?”. Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’’? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”. Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

Questa parabola assomiglia tanto a quella dei “talenti” perché narra di un padrone che lascia in custodia un bene per vederlo poi fruttificare e quindi raccoglierne i frutti. Le similitudini sono chiare anche se in una si parla di denari e in questa di una vigna è facile identificare, in questi beni materiali, la nostra stessa vita. La vita è un dono e non ci appartiene, ci è stata consegnata non per farne ciò che vogliamo ma per riconsegnarla, al momento opportuno, con il dovuto frutto, che il padrone reclamerà al momento della raccolta. E questo ci sfugge o almeno preferiamo nascondere questa evidenza e fare della vigna qualsiasi altra cosa tranne che farla fruttare per la gloria del padrone. Eppure è stato Lui ad affidarci questa responsabilità, quindi in cuor suo conosce le nostre possibilità e capacità, si fida di noi e sa bene che non cacceremo i suoi servi quando verranno a ritirare il raccolto… ma noi, essendo uomini, non facilmente riusciamo a staccarci dall’egoismo terreno ed ai suoi servi, ed ai fratelli che domandano aiuto, rispondiamo in modo errato “bastonandoli, uccidendoli, lapidandoli”. Il problema sta alla base e sarà difficile da risolvere perché la certezza d’essere gli unici detentori della verità e quindi di ogni potere su noi stessi non è facile da demolire, perché bisognerebbe dar spazio alla voce del Padrone, alla sua volontà, quindi ammettere che questo padrone vuole il meglio per noi; ci ha mandato persino il proprio figlio e noi che abbiamo fatto? “uccidiamolo e abbiamo noi l’eredità” non abbiamo compreso! Il figlio era venuto in mezzo a noi per condividere l’eredità stessa, per far conoscere la via da seguire e gustarla in eterno; non era venuto per impossessarsene perché lui stesso proviene da quella eredità! “L’amore non è amato” e se non crediamo all’amore del Padrone non riusciremo mai a rispondere con amore all’invito che ci fa quotidianamente. Se siamo nati significa che siamo stati reputati degni di tale dono e se ancora viviamo i nostri frutti sono visibili e graditi a Lui.

mercoledì 11 marzo 2009

Lo condanneranno a morte

Matteo 20,17-28

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i Dodici e lungo la via disse loro: “Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà”. Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: “Che cosa vuoi?”. Gli rispose: “Di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. Rispose Gesù: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?”. Gli dicono: “Lo possiamo”. Ed egli soggiunse: “Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio”. Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.

Risaltano in questo brano due verbi che, da noi, vengono affiancati per formare un modo di dire "volere è potere" che mette al centro di tutto la nostra volontà, la nostra forza, il nostro potere al di sopra di ogni altro potere. Non tutto , però, ci è possibile per il solo fatto che siamo uomini e che mai possiamo credere di equipararci a Dio o sostituirlo. Gesù chiede alla madre di Giacomo e di Giovanni cosa voglia perchè sa che nulla è impossibile a Dio e sa che qualsiasi cosa verrà chiesta in suo nome il Padre la concederà, ma ciò che domanda la madre è difficile saperlo perchè è come se volesse già conoscere il destino eterno dei suoi figli senza badare a ciò che sono e saranno i suoi figli nella vita terrena. "Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio" a Cristo è stato dato il compito di tracciare la via e di illuminare quanti hanno in cuore il desiderio di percorrerla ma non ha il potere di decidere a priori perchè il Padre ha lasciato a noi stessi il libero arbitrio per scegliere quello che sarà di noi. "Il mio calice lo berrete" perchè il calice e la volontà del Padre è il passo iniziale da compiere per proseguire verso la gloria, se non si accetta è impossibile unirsi a Lui, se si preferisce far passare questo calice diventa un'illusione occupare quel posto tanto ambito e sperato dalla moglie di Zebedeo. Seguiamo Cristo se vogliamo trovarci, poi, al suo cospetto; incamminiamoci per la via da lui tracciata divenendo servi e schiavi, umili e semplici, pronti a dare la vita per i fratelli.

martedì 10 marzo 2009

Dicono e non fanno

Matteo 23,1-12
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ‘‘rabbì’’ dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare ‘‘rabbì’’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ‘‘padre’’ sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ‘‘maestri’’, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”.


“Il più grande di voi sia vostro servo”- E’ davvero difficile servire e soprattutto farlo per compiacere i fratelli e mai noi stessi. Dietro ogni nostro gesto si cela quasi sempre il bisogno di sentirsi realizzati o per essere ammirati “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini” , quello che facciamo, invece, dobbiamo farlo per essere ammirati soltanto dal Padre, nemmeno da noi stessi ed è davvero dura riuscire a trasformare l’esperienza del servire in un' abitudine, in uno stile di vita. Spesso alla nostra opera viene accompagnato all’istante un contraccambio, demolendo così lo spirito che ha mosso le nostre mani, facendo perire l’essenza del nostro tendere, del nostro dare aiuto. Nel servire si deve ricercare solo il benessere del prossimo e in noi dovrebbe rimanere solo la consapevolezza dell’aver fatto qualcosa di semplice e di normale perché la nostra missione è quella di abbassarci per poi essere innalzati al momento opportuno. Personalmente, nel fare il bene, mi frena solo un elemento: la paura e il timore che il mio stesso bene non venga capito o addirittura mal interpretato; continuo comunque ad esercitarlo anche se in tanti si chiedono il perché o cercano di afferrare il tornaconto che potrebbe celarsi. Davvero è così difficile servire? “La carità non cerca il suo interesse” ed io non voglio posti d’onore nei conviti, ne primi seggi nelle sinagoghe e posso fare a meno dei saluti nelle piazze, mi basterebbe sapere che quel che faccio è cosa giusta e gradita.

lunedì 9 marzo 2009

Perdonate e vi sarà perdonato

Luca 6,36-38
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.
“Abbiamo peccato”, in Daniele c’è la consapevolezza dell’aver peccato e quindi il riconoscimento della colpa e la richiesta del perdono. Crede fermamente nella misericordia di Dio che opera su chiunque si rivolga a Lui con pentimento e dolore dei peccati. L’abbiamo sentito qualche giorno fa “il Signore fa spuntare il sole sui giusti e sugli ingiusti ma ama chi ha timore di Lui”, ed aver timore significa in primis riconoscere la sua immensa misericordia e il suo grande amore. Questa consapevolezza, però, non sia un comodo cuscino di piume su cui assopirsi ma un costante mettersi in gioco e alla prova perché siamo chiamati ad operare con la stessa misericordia, nel servire, nel perdonare, nel non giudicare, nel non condannare; e sono pratiche quasi inesistenti nella nostra quotidianità anzi spesso ci culliamo del fatto che “saper perdonare è divino”; una consolazione , che come tante altre, ha lo scopo di autogiustificare il nostro operato e ritornare nel sonno dell’anima che prima o poi si muterà in eterno letargo e poi in morte. La nostra anima ha bisogno d’essere allenata, ha bisogno di esercizio costante, la nostra anima non può e non deve atrofizzarsi, al contrario deve esser pronta per il grande momento, quando dovrà ricevere quella “misura traboccante”, e se riusciamo a svuotarla da tutte le sozzure e dalle false ricchezze significa che siamo stati in grado di morire a noi stessi, di mettere da parte rancori ed orgogli e quindi di esercitare quella misericordia che verrà contraccambiata con la gloria eterna.

sabato 7 marzo 2009

Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori

Matteo 5,43-48
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Ancora una volta Gesù sottolinea l'essenzialità della sua missione: è venuto a completare a perfezionare una legge magari interpretata male o col tempo modellata a propria immagine... e Gesù piomba sulle nostre vite con questo scopo, vuole perfezionare la nostra condotta, vuole completare la nostra visione della vita, vuole che anche noi diventiamo perfetti nell'amore. Sappiamo bene, però, che è già difficile riuscire ad amare gli amici senza dover passare per tornacontisti perchè stiamo perdendo di vista il significato di amare incondizionatamente. Per questo Gesù ci invita ad esercitarci nell'amare i nemici perchè i nemici non penseranno mai che nel nostro amore ci sia chissà quale oscuro scopo, al contrario rimarranno disarmati dinanzi a questo comportamento. Si corre il rischio di esser visti come deboli o come perdenti ma l'amore che intende Cristo è un amore segreto, è preghiera che va al di là dei gesti ed alla fine è confortante sentirsi vittoriosi e promotori di una giustizia poco comprensibile dal mondo. Il Signore fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni ed allora noi chi siamo per decidere di castigare un fratello invece di comprenderlo e di ricercare, in lui, il motivo del suo comportamento? Io vivo, forse in modo errato, con il concetto che chiunque mi si presenti accanto è migliore di me, sia esso un nemico o un amico; mi pongo con lui partendo da un gradino più basso per poi, magari rimanere insieme su quel podio che ci incoronerà vincitori nell'amarci a vicenda e nel rispettarci.

venerdì 6 marzo 2009

Va’ a riconciliarti con il tuo fratello

Matteo 5,20-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

Oggi ci viene illustrata la via da percorrere per conquistare la vera vita. La via del Signore è la giustizia, una strada lontana dal peccato e dall’agire in modo iniquo, aperta a tutti coloro che desiderano praticarla. È bello leggere nelle parole del profeta Ezechiele l’importanza e l’essenzialità del praticarla sempre e costantemente “se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere iniquità…muore” , non c’è scampo, infatti, per chi ha conosciuto la giustizia e decide di metterla da parte e di non renderla presente nella propria vita e a differenza dell’ingiusto, che ritorna per la retta via guadagnandosi la vita stessa, vedrà cancellate tutte le cose giuste da lui fatte. Di giustizia parla anche Matteo e ci invita a farne esperienza , di una giustizia diversa da quella intesa dagli scribi e farisei quindi diversa dalla giustizia degli uomini. “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario”, non è umano saper perdonare gli avversari, è difficile, come non è umano riuscire a mettere da parte ira ed orgoglio per tentare di perdonare e di riconciliarsi con un fratello offeso o giudicato male. Praticare la giustizia divina è un atto estremamente impegnativo perché è distante dalla nostra concezione di giustizia spesso egoistica e che pone al centro, come unici beneficiari, noi stessi e i nostri interessi. Amare il proprio fratello, invece, è la prima cosa da fare, il primo comandamento, quello nuovo lasciato da Cristo stesso durante l’ultima cena “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”, molto più importante dell’offrire un sacrificio perché nell’odiare il fratello o nell’essere adirato con lui si cela un cuore per niente contrito e quindi non gradito a Dio “uno spirito contrito è sacrificio gradito a Dio, un cuore affranto ed umiliato tu o Dio non disprezzi”. Umiliamoci dinanzi al perdono, non ripaghiamo mai il male con lo stesso male ma il nostro bene incondizionato sia l’arma che faccia desistere gli iniqui e che l trascini per quella via che li condurrà alla vita.

lunedì 2 marzo 2009

Ogni volta che avete fatto qualcosa a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Matteo 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà anche a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.

Quando mai ti abbiamo veduto? Siamo convinti che vedere Cristo sia un'esperienza 5rivervata solo ai pochi fortunati che in passato, e forse anche tutt'ora, riescono a cogliere i suoi segni: i veggenti. Cristo è vivo e sempre visibile ma solo gl occhi che riescono ad andare oltre possono focalizzare la sua immagine riflessa sul nostro prossimo. Gesù è sempre in mezzo a noi, nelle nostre giornate perchè nel viso di un povero, di un ammalato, di un nostro amico in difficoltà c'è l'immagine di Cristo che ci invita sempre a servirlo nei fratelli.